Confessioni di un’analfabeta

Chi insegna letteratura italiana in una scuola superiore sostanzialmente non riesce a leggere, perché deve sempre rileggere i classici per interrogare ragazzi giovani (quindi con buona memoria) e freschi di lettura cercando di scoprire se hanno letto davvero il libro o hanno solo cercato un riassunto su internet; l’unico periodo buono in cui si può leggere per piacere o interesse personale è l’estate, ma solo a condizione di non aver assegnato troppi compiti delle vacanze.
Chi dirige un piccolo giornale, in particolare se è più o meno amatoriale, sostanzialmente non riesce a scrivere perché perde troppo tempo a fare tutt’altro: tenere i contatti, correggere refusi, pensare titoli, organizzare l’impaginazione, ecc.; anche se vengono idee per articoli da scrivere, passa la voglia di metterle in pratica quando si pensa che sarà poi necessario correggere la bozza, decidere la collocazione, cercare un’immagine adatta. Si riesce a scrivere con serenità solo per giornali diversi dal proprio.
Dunque, essendo contemporaneamente insegnante di italiano in un liceo classico e direttrice del bimestrale ebraico torinese Ha Keillah, sono arrivata piuttosto vicina all’analfabetismo di ritorno. Troppi i libri che devo ammettere con vergogna di non avere letto (e sarebbero ancora di più se non ci fosse l’estate), troppi gli argomenti su cui avrei voluto scrivere e non ho scritto (e sarebbero ancora di più se non avessi potuto godere dell’ospitalità di Pagine Ebraiche e talvolta di Toscana ebraica).
So bene che il mio è un problema assai comune. “Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l’amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione alla felicità sulla terra. Ma questa è una verità che non molti conoscono.” Purtroppo anche i pochissimi privilegiatissimi che conoscono questa verità enunciata da Primo Levi (La chiave a stella) e amano il proprio lavoro sono costretti quasi sempre a trascorrere la maggior parte del tempo facendo cose diverse dal proprio lavoro. E questo non riguarda solo il lavoro per cui si è pagati ma anche le attività più o meno di volontariato scelte liberamente, come per esempio l’impegno nell’ambito di istituzioni e organizzazioni ebraiche. Insomma, quasi nessuno nella vita riesce a fare davvero le cose che ama fare. Ma questo male comune non è una consolazione: chi deve trasmettere ai ragazzi la passione per la lettura e per la scrittura non si può permettere di non leggere e di non scrivere con passione. Leggere senza il piacere di leggere e scrivere senza il piacere di scrivere sono in un certo senso forme di analfabetismo.
Nel 5783 vorrei essere un po’ meno analfabeta.

Anna Segre

(29 luglio 2022)