Il caso Mortara, tra storia e racconto
Dal cinema al teatro, torna a riaccendersi l’attenzione sulla vicenda del piccolo Edgardo Mortara. Pubblichiamo di seguito un brano da un intervento di Elèna Mortara tratto dalla raccolta “I ‘Misteri’ di Roma. Personaggi e stereotipi della Roma ottocentesca” (ed. LuoghInteriori) a cura di Marina Formica.
Quello che, nelle cronache dell’epoca e in quelle successive, è divenuto noto come «il caso Mortara» – o, come fu definito in Francia, «l’affaire Mortara» – ebbe inizio nel 1858, ed è la drammatica vicenda del bambino ebreo bolognese Edgardo Mortara, nato nel 1851 e battezzato clandestinamente all’età di circa un anno dalla domestica cattolica, il quale, nel giugno del 1858, quando aveva appena sei anni, fu brutalmente sottratto alla sua famiglia in Bologna per ordine dell’Inquisizione e immediatamente portato alla Casa dei Catecumeni in Roma. Una volta ricevuto il battesimo, infatti, qualunque fossero state le circostanze di quell’atto compiuto di nascosto, la legge canonica, che era legge dello Stato, imponeva l’esecuzione di tale ordine di separazione e di violenza antifamiliare. Si trattava di una pratica coercitiva che era stata frequente, nei secoli di sottomissione della minoranza ebraica nel ghetto di Roma e nei domini papali. Ma nel nuovo clima liberale dell’epoca, e grazie alla forte reazione della famiglia che non accettò in silenzio il sopruso, il fatto, iniziato a Bologna e conclusosi a Roma, suscitò invece enorme scalpore internazionale, sia in Europa che in America, e anche in paesi di tradizione cattolica come la Francia, ed ebbe conseguenze politiche sia nella storia ebraica che in quella italiana, all’epoca del Risorgimento italiano e delle lotte per l’emancipazione ebraica nell’Europa di metà Ottocento. Lo scandalo suscitato dal «misfatto», rivelando all’opinione pubblica anche cattolica il carattere inflessibilmente illiberale di un regime e di una legislazione che non riconoscevano l’uguaglianza di diritti di tutti i cittadini davanti alla legge indipendentemente dalla loro confessione religiosa, contribuì alla perdita di prestigio papale, favorendo nel 1859-61 il processo di annessione al Regno di Sardegna e poi al Regno d’Italia di varie parti dello Stato Pontificio, a partire da Bologna. Dieci anni dopo, sempre nel corso delle Guerre di Indipendenza italiana, con la conquista di Roma da parte del Regno d’Italia nel 1870 si sarebbe arrivati alla definitiva fine del potere temporale dello Stato della Chiesa. Questi in grande sintesi i fatti storici, quali emergono anche dalle ricerche di un autorevole biografo di Pio IX quale padre Giacomo Martina, e dagli studi specifici sul caso Mortara di Gemma Volli negli anni ’60, e negli anni ’90 del Novecento in quelli ancora più ampi e approfonditi di David I. Kertzer e Daniele Scalise. Il libro di Kertzer, The Kidnapping of Edgardo Mortara, uscito dapprima in Italia, poi in America e in molte altre parti del mondo, è ora alla base del progetto di un possibile film del regista Steven Spielberg, con sceneggiatura del commediografo Tony Kushner, da molti anni annunciato come imminente. Più recentemente, anche il regista italiano Marco Bellocchio ha espresso l’intenzione di fare un film su queste vicende. Negli Stati Uniti, già nel 2002 è andato in scena un lavoro teatrale di Alfred Uhry, Edgardo Mine, sul caso Mortara; e nel 2010 è stata portata in scena a New York una intensa opera musicale in due atti di Francesco Cilluffo, Il caso Mortara, commissionata al musicista italiano dal Dicapo Opera Theatre. Stiamo così passando dai fatti, ricostruiti storicamente, alla loro versione comunicata al pubblico in forme artistiche e letterarie, su cui ho particolarmente indagato nei miei studi. Una delle funzioni del caso Mortara è stata quella di aprire un varco in uno dei «misteri» della Roma del tempo, di squarciare il velo di ignoranza e indifferenza riguardante la condizione degli ebrei di Roma, da oltre due millenni residenti numerosi in questa città. Sotto il dominio dei Papi, in particolare dal 1555, quando con la Bolla Cum Nimis Absurdum emanata da Papa Paolo IV venne istituito l’obbligo di una loro residenza coatta in una zona malsana lungo il fiume Tevere poi detta ghetto, gli ebrei erano stati costretti a vivere in condizioni di discriminazione e pericolosa subalternità nella loro città e, là dove loro concesso, negli altri territori dello Stato Pontificio. All’epoca di Pio IX (1846-1870) una breve stagione iniziale di stampo liberale aveva portato addirittura nel 1848 all’abbattimento, a complete spese degli stessi ebrei, dei portoni del ghetto, seppur non all’abolizione di tutti i pesanti balzelli e delle limitazioni alle libertà personali degli ebrei; ma, dopo la parentesi rivoluzionaria della Repubblica Romana (1848- 49) apportatrice di nuove speranze di libertà e uguaglianza per gli ebrei di Roma, con il ritorno del Pontefice dall’esilio di Gaeta nel 1850 era iniziata l’epoca della restaurazione.
Elèna Mortara
(Nell’immagine: Moritz Daniel Oppenheim – Il rapimento di Edgardo Mortara)