Alika Ogorchukwu e l’Italia
Quattro minuti è durata l’agonia di Alika Ogorchukwu, il nigeriano 39enne assassinato venerdì in pieno centro a Civitanova Marche. A colpirlo a mani nude, Filippo Ferlazzo. “Una morte terribile, scatenata da un pretesto futile, la richiesta insistente di comprare qualche fazzolettino o di dare una moneta”, racconta il Corriere della Sera. Gli investigatori, aggiunge Repubblica, escludono l’aggravante razzista, mentre un gruppo di connazionali di Alika ha manifestato in piazza denunciando “razzismo e indifferenza”.
Charity, la vedova dell’uomo, chiede invece giustizia e, parlando con i media, si chiede: “C’era tanta gente in quel momento, perché nessuno è intervenuto? Perché nessuno lo ha aiutato? Forse adesso il mio Alika sarebbe ancora qui con me”.
L’aggressione è stata ripresa con i telefonini da alcuni passanti. Uno sostiene a Repubblica di essere intervenuto. Molte analisi si soffermano però sul generale atteggiamento indifferente dei passanti davanti alla terribile violenza. Gianni Riotta su Repubblica definisce Alika come “il nostro Floyd”. E si chiede cosa provino “i nostri connazionali, incapaci di bloccare il braccio omicida di Ferlazzo, circondarlo in gruppo, ricondurlo a gran voce ad abbandonare la presa? Si sentono complici inani o sovrastati dal destino? E noi che non c’eravamo, come agiremmo ad un analogo appuntamento con la violenza?”. Su La Stampa Massimo Giannini traccia un parallelismo con il caso di Luca Traini e sostiene sia il frutto di “un razzismo strisciante, spicciolo e diffuso, pronto a riesplodere per un niente all’improvviso”. Stefano Zecchi del Giornale chiama invece in causa il “male assoluto” e dipinge una “crudeltà immane” che non avrebbe origini e radici. Fuorviante il suo usare Eichmann come esempio: “poteva apparire un uomo insignificante, banale, ma nel suo agire non c’era banalità, ma un’immane crudeltà”, scrive Zecchi.
Gli Usa, l’Ucraina e gli obiettivi di Putin. “La Nato e in particolare gli Stati Uniti hanno dimostrato di non voler intervenire veramente per salvare l’Ucraina”. È il giudizio del generale Abraham Bachar, fondatore e amministratore delegato di IsraTeam, già capo di stato maggiore della Difesa civile nazionale israeliana. Intervistato da La Stampa sul conflitto ucraino, Bachar è critico nei confronti degli Usa per non essere intervenuti con maggiore intensità per fermare l’invasione russa. Secondo lui Putin nei prossimi mesi cercherà di spingersi “più a Ovest e non concentrarsi solo sulle regioni orientali”. E, a suo avviso, in qualità di superpotenza, gli Stati Uniti avrebbero dovuto fare di più per evitare sin dall’inizio questa campagna. Ma la politica di non intervento diretto, aggiunge, ha radici nel passato: “è stato un atteggiamento costante condiviso anche da Obama e da Trump”. Un approccio, prosegue, che Washington ha applicato anche in Medio Oriente, “spingendo i Paesi sunniti della regione a firmare accordi con Israele, in funzione anti-iraniana. Per quanto ho capito, Biden, nel suo ultimo viaggio, ha cercato di coinvolgere altri Paesi, usando la minaccia di un nemico comune, Teheran. Ciò è stato fatto per consentire agli Stati Uniti di costruire un fronte contro la Repubblica islamica, ma senza inviare truppe nell’area”.
Equilibri nel Mediterraneo. “Dobbiamo costruire una solidarietà internazionale contro il terrorismo che veda protagonista l’Europa, in un rapporto strategico con Israele, oggi uno dei protagonisti più importanti del Mediterraneo allargato”. La posizione dell’ex ministro dell’interno Marco Minniti in un lungo dialogo con il politologo francese Gilles Kepel pubblicato da Repubblica. Kepel è d’accordo parlando della necessità di “una triangolazione fra l’Europa, la penisola arabica e Israele” per confrontarsi con il terrorismo internazionale. Una minaccia che ormai da tempo, sottolinea il politologo, non ha confini e viaggia attraverso la rete. Per questo e per affrontare i nuovi equilibri mondiali, il vecchio continente deve costruire nuove alleanze. “Dal Camerun agli Emirati, passando dallo Stato ebraico fino all’Europa, si può creare un nuovo polo del mondo post apolare. Noi europei non possiamo farlo soli, e neanche i paesi petroliferi. Italia e Francia dovrebbero essere l’avanguardia di questo movimento. Non vedo come uscire da questa crisi senza la costruzione di questa triangolazione anche per contrastare Russia, Cina e Turchia”.
Sport e relazioni internazionali. Dopo la sfida amichevole tra Roma e Tottenham a Haifa, Israele si prepara oggi ad ospitare un altro evento: la coppa di Francia tra Psg e Nantes, che andrà in scena a Tel Aviv. Una scelta non scontata ricorda oggi Repubblica, con l’aiuto di chi ha contribuito a portare la sfida internazionale (così come il Giro d’Italia) in Israele: ovvero il filantropo Sylvan Adams. Non scontata perché il Psg è di proprietà di una nazione, il Qatar, “storicamente più vicino all’Iran che a Israele”. E avrebbe potuto mettere il veto sulla scelta di giocare a Tel Aviv, ma non lo ha fatto. “La domanda è: perché? E la risposta ha radici profonde. – scrive Repubblica – Che partono negli Accordi di Abramo che hanno legato con filo americano Israele ed Emirati Arabi in un’unione che non è solo commerciale, ma politica. Un dialogo che ha avvicinato anche l’Arabia Saudita. E il Qatar non poteva restare a guardare. Anche perché sul tavolo ha da porre il più importante evento della sua storia: i Mondiali di calcio, i primi ospitati da un paese mediorientale”.
Il caso Documenta. Sul Sole 24 Ore si parla dell’ultima edizione della famosa mostra internazionale di Kassel, in Germania. I giudizi sono molto positivi e solo in conclusione si parla del caso che ha segnato l’esposizione curata da un collettivo indonesiano: l’esposizione in un’opera di riferimenti chiaramente antisemiti. Inquietante che sul Sole si liquidi così la vicenda: “un’opera e alcune scritte hanno fatto sentire gli ebrei addirittura minacciati, fino a fare dimettere la responsabile della struttura dl Documenta”.
Segnalibro. Alessandro Piperno presenta i racconti che John Updike dedicò alle peripezie tragicomiche del suo Henry Bech, “collega immaginario e paradigmatico”. Il volume che li raccoglie arriva in Italia per Sur con il titolo Vita e avventure di Henry Bech, scrittore. Secondo Updike il suo personaggio Bech “sarebbe il risultato di un ‘cocktail’ formato da Salinger, Bellow, Mailer e Roth. Da notare, oltre la straordinaria caratura dei prescelti, l’origine ebraica che li accumuna. Bech, a differenza di Updike, è un ebreo di estrazione modesta. – racconta Piperno – È il classico romanziere di seconda o terza generazione ebraica che brandisce il passaporto americano ai quattro venti, come un talismano della libertà conquistata a caro prezzo dai suoi avi, e quindi da sfruttare con la massima dissolutezza possibile”.
Aste e Storia. Un orologio appartenuto a Hitler è stato venduto in un’asta nel Maryland, negli Stati Uniti, a un acquirente anonimo per 1,1 milione di dollari. Alcune associazioni ebraiche hanno criticato l’asta e l’opportunità di vendere l’oggetto. La casa d’aste – che in passato ha venduto altri oggetti nazisti – si è difesa sostenendo che il suo obiettivo sia preservare la storia e che la maggior parte degli oggetti venduti viene conservata in collezioni private o donata ai musei della Shoah. Il Giornale, nel raccontare la notizia, riporta (sin dal titolo) che il presidente della casa d’aste ha dichiarato che l’acquirente, rimasto anonimo, sarebbe un ebreo europeo.
Daniel Reichel