Alika e il dibattito sul razzismo

Mentre il tema delle alleanze politiche in vista delle elezioni continua a dominare le prime pagine dei quotidiani, proseguono anche le ricostruzioni e riflessioni sull’omicidio di Alika Ogorchukwu. L’uomo che l’ha ucciso a mani nude, Filippo Ferlazzo, era stato tossicodipendente, aveva subito Tso e controlli al pronto soccorso, con una diagnosi di disturbo borderline della personalità, racconta il Corriere della Sera. Per questo il suo avvocato d’ufficio vorrebbe chiedere la perizia psichiatrica. Opzione però contestata dal legale della famiglia Ogorchukwu, Francesco Mantella. “Qualora si adombrasse l’incapacità di intendere e di volere – la valutazione di Mantella – allora andrebbe chiarito se è stato fatto tutto il possibile per evitare quello che è poi accaduto. Mi chiedo: se la madre che era l’amministratrice di sostengo di Ferlazzo viveva a Salerno, come poteva controllarlo quotidianamente, avendo poi il dovere di riferirne al Tribunale? Bisognerà accertare tutte le responsabilità”.

Razzismo o no. Quanto il razzismo ha avuto un ruolo nell’omicidio di Alika? Interrogativo a cui i diversi quotidiani danno risposte opposte. Su La Stampa Massimo Giannini – che invita i leader politici, senza distinzione di orientamento, ad andare al funerale della vittima – e su Repubblica Ezio Mauro individuano nella violenza di Civitanova Marche una chiara matrice razzista. Magari inconsapevole, scrive Mauro, ma esplicita. Quotidiani come Libero e Giornale contestano però questa posizione, ricordano che la procura ha escluso al momento l’aggravante razzista e circoscrivono l’episodio a un brutto caso di cronaca nera. Per Aldo Cazzullo, in prima sul Corriere della Sera, sono tre le cosa da fare: “condannare con fermezza qualsiasi violenza, a cominciare da quella assurda e insensata di Civitanova. La seconda è combattere l’indifferenza, il cinismo che porta a filmare e postare anziché intervenire. La terza è trovare le parole giuste per dire ai lettori che quando in una città italiana si uccide a mani nude una persona per strada è giusto ‘fare casino’, parlarne e non voltare la testa dall’altra parte. Qualunque sia il colore della pelle della vittima. E qualunque sia il colore della pelle dell’assassino”.

La Russia e l’eliminazione di chi si oppone. Un missile russo ieri ha centrato a Mykolaiv la casa di Oleksiy Vadatursky, magnate ucraino del grano e finanziatore dell’esercito di Kiev. L’uomo e la moglie sono rimasti uccisi nell’attacco. “Vadatursky – scrive Federico Fubini sul Corriere – è morto perché aveva detto di no. E stato eliminato dai russi in una classica esecuzione mafiosa e il messaggio del suo annientamento è rivolto a tanti altri in Ucraina: è un avvertimento a chiunque potrebbe ricevere le stesse richieste o le ha già avute. A Vadatursky gli emissari del Cremlino avevano proposto di trasformarsi in un collaboratore occulto della Russia, secondo alcuni protagonisti della vita politica di Kiev che hanno avuto frequenti contatti con lui e i suoi uomini”. Intanto, racconta Repubblica, in Sardegna è stato ricoverato per una sindrome neurologica improvvisa Anatolij Chubais, ex fedelissimo di Putin. Chubais, spiega il quotidiano, era contrario all’invasione dell’Ucraina e si era dovuto per questo allontanare dalla Russia, spostandosi in Sardegna, passando da Turchia e Israele. Il quotidiano rileva le preoccupazioni per un possibile avvelenamento, anche se al momento questa opzione sembra esclusa.

Minacce ai giacimenti di gas. Attraverso un video il gruppo terroristico libanese Hezbollah ha minacciato la sicurezza di Karish, uno dei giacimenti offshore di gas d’Israele. Ne parla oggi Libero, evidenziando come il filmato sia stato pubblicato proprio mentre a Beirut è arrivato il mediatore Usa Amos Hochstein, per discutere “soluzioni sostenibili alla crisi energetica del Libano, incluso l’impegno dell’amministrazione Biden a facilitare i negoziati tra Libano e Israele sul confine marittimo”. Gerusalemme confida che i negoziati possano concludersi positivamente, mentre Hezbollah vorrebbe farli saltare. Da qui il video intimidatorio in cui si vede il giacimento Karish e si lascia trasparire la volontà di colpirlo. “Le minacce di Hezbollah – sostiene Libero – sono rivolte anche all’Europa: Israele è uno di quei paesi sui quali l’Italia punta per importare gas non russo. Da quando è scoppiato il conflitto russo-ucraino, gli iraniani si sono molto riavvicinati a Mosca, alla quale forse non dispiacerebbe di mandare all’aria i piani dell’Occidente di trovare nuovi fornitori di gas naturale”.

Chi governerà. Il Fatto Quotidiano intervista il medievalista Franco Cardini, che si dice amico di Giorgia Meloni, ma non la vede al governo. “Ha un partito pessimo, con una classe dirigente di infimo livello, inguardabile. E se corre troppo, se pensa che sia giunto il momento di fare il gran passo verso il governo, corre un grave pericolo”. Poi Cardini con molta e inquietante leggerezza aggiunge: “Basta una svastica sul portone di una sinagoga, una cappellata qualunque e le fiamme alte dell’antifascismo di maniera si dispiegherebbero al punto da costringerla a cento altre abiure affidando il governo ai soliti noti”.

Lodo Moro. Secondo Gero Grassi, ex deputato Pd e componente della Commissione Moro, il cosiddetto Lodo Moro “non solo esiste, ma sono convinto che sia stato una buona cosa per proteggere l’Italia”. Al quotidiano Il Tempo Grassi afferma che l’esistenza dell’accordo – in cui l’Italia avrebbe consentito ai palestinesi di utilizzare il proprio territorio come base per armi e guerriglieri in cambio della garanzia di preservare la penisola dagli attentati – era stata confermata alla Commissione da “Bassam Abu Sharif, portavoce del Fplp e poi uno dei consiglieri più fidati di Yasser Arafat”. “Il Patto serviva a proteggere l’Italia, non a creare ‘casini’”, afferma Grassi, sostenendo la bontà di fare un patto con i terroristi. Altrettanto inquietante il passaggio successivo: “Nello stesso tempo la politica italiana è sempre stata più filo palestinese che filo israeliano, con questo si spiegano molte cose”. L’obiettivo dell’intervista in ogni caso appare uno: cercare di ricondurre la strage di Bologna invece che al terrorismo neofascista a quello palestinese, ricollegandolo al Lodo Moro.

Il saluto all’ambasciatore d’Israele. Dopo tre anni di mandato, si avvia verso al conclusione l’incarico di Dror Eydar alla guida dell’ambasciata d’Israele a Roma. Il diplomatico, come racconta il Messaggero, saluta l’Italia con un libro: All’Arco di Tito. Un ambasciatore d’Israele nel Bel Paese (Salomone Belforte).

Daniel Reichel