Ai margini della vita sociale
Non vorrei davvero essere nei panni di quel giudice che ha deciso se l’assassino di Alika Ogorchukwu abbia ucciso per razzismo o meno. La risposta la si avrebbe soltanto ponendogli sotto le grinfie un bianco e osservando il suo comportamento, magari riprendendo la scena come se fossimo sul set di un film, anziché di fronte alla crudele realtà della nostra società spaurita e indifferente.
E non vorrei essere nei panni di quello psichiatra che dovrà stabilire se quell’assassino sia o meno uno psicopatico meritevole di attenuanti che gli garantiscano la scarcerazione immediata.
Quando ci si imbatte in immigrati che mendicano a ogni angolo di strada, vien fatto di chiedersi se sia così difficile integrarli impiegandoli, anche a forza, in qualche cooperativa artigianale o in servizi di qualsiasi tipo. Chissà se è solo per distrazione che si lasciano gli immigrati a elemosinare la vita in giro per le città, o se non faccia il gioco di chi ne perora il respingimento o l’espulsione.
Esseri umani lasciati ai margini della vita sociale a sopravvivere miseramente, in balia di organizzazioni più o meno mafiose che li sfruttano. Immigrati lasciati all’angolo della strada a produrre un po’ di pietà, ma molto più spesso insofferenza e fastidio, nel passante frettoloso. Se poi quell’immigrante cerca di trattenerti a testimoniare da vicino il suo abbandono e anche solo ti sfiora la manica della giacca…
Su quell’immigrante fastidioso qualcuno, fra non molto, si giocherà la sua disumana manciata di voti.
Del massacrato in una strada del nostro Bel Paese ci saremo ordinariamente dimenticati, come di un cane abbandonato in autostrada.
Dario Calimani