Bruciare i pupazzi
La pratica di bruciare i personaggi invisi è autorevolmente menzionata da Francesco Lucrezi (Dante e Purim, Moked, 20 luglio 2022, Fake news, Moked, 27 luglio 2022) laddove si sofferma, con straordinaria dovizia dottrinaria, sulla risalentissima consuetudine di bruciare l’effigie di Amman.
Quanto all’uso di bruciare un pupazzo raffigurante Giuda, l’Unesco riportava che “Vila Nova de Cerveira organises the community theatre initiative “Burning of Judas”, that aims to recover popular and profane traditions, through the creation and representation of an artistic and literary work which actively involves various associations, recreational groups and the entire local population”. Ancorché lo sciocchezzaio faccia parte del patrimonio culturale universale, non essendo nemmeno onesto che il sottoscritto vi si sottragga, appare nondimeno curioso che, per l’Unesco, dare alle fiamme un personaggio dei Vangeli, che predicano la non violenza, costituisca una pregevole attività culturale. Nel 2019 il Congresso Ebraico Mondiale denunciò un’attività analoga, svoltasi nella cittadina polacca di Pruchnik. Puntualmente, il vescovo Rafał Markowski provvide a condannare l’evento. Questa macabra consuetudine che, attraverso il rogo di Giuda simboleggia il rogo degli ebrei, trova le sue radici in Spagna (dove un tempo gli ebrei venivano gettati per davvero nel fuoco) per poi affondare solide radici in America Latina. Da soggiungere che, mentre la pratica di bruciare Amman è vecchia di millenni, quella di bruciare “il Giuda” l’ho vista io che, per quanto anziano, posso assicurarvi che non arrivo al millennio.
Ormai si tratta di una pratica desueta, sia perché le manifestazioni simboliche d’odio si sono per lo più spostate dalle strade al web, sia perché è più comodo prendere come bersaglio lo Stato ebraico. Da ragazzino, ricordo in Uruguay le frotte di bambini, accalcatisi attorno ad un pupazzo, che raccoglievano monete per pagare il combustibile necessario per appiccare il fuoco a Giuda. Benché capissimo che il bersaglio eravamo noi, nessuna delle quattro comunità ebraiche (sefardita, tedesca, ungherese e polacca) accennò mai una pur timida protesta, bloccate come tutti noi da una sorpresa lunga una vita, dinanzi a queste forme simboliche di odio, così come anche ora talvolta rimaniamo parimenti bloccati da analoghe forme insensate di odio verso Israele. Quindi, anche se la disciplina giuridica è cambiata (a nostro favore), è più che comprensibile che noi, bloccati dal male, si stenti talvolta a reagire, colpiti dall’incredulità.
Emanuele Calò, giurista