I conti col passato

Sarà certo vero, come sostengono Ernesto Galli della Loggia e altri intellettuali, che la possibile vittoria elettorale del centrodestra e l’ascesa a Palazzo Chigi di Giorgia Meloni in quanto leader di Fratelli d’Italia (schieramento dato in testa da tutti i sondaggi) non provocherebbero – nonostante le radici fasciste di quel partito – immediati scossoni antidemocratici e ricorsi alla violenza. Ma questo basta a rassicurarci? Una simile constatazione significa, in sostanza, considerare il postfascismo italiano innocuo e accettabile perché fondamentalmente alieno dalla violenza.
A parte che l’uso della forza è comunque pratica quotidiana per CasaPound e Forza Nuova, schieramenti estremisti che mantengono collegamenti con la destra parlamentare, il punto mi pare essere un altro: ogni nostalgia e ogni riferimento programmatico rispetto al fascismo vanno nella nostra Repubblica rifiutati non tanto, non solo se e perché violenti ma perché in contraddizione fondante con la Costituzione che sorregge il nostro Stato, nata dalla Guerra di Liberazione dallo stesso fascismo. Insomma, è naturale che in un sistema politico democratico il successo elettorale possa arridere allo schieramento di destra o centrodestra, ed è giusto che in questo caso la guida del governo passi nelle mani di tale orientamento. Non è invece ammissibile, secondo l’antifascismo posto a fondamento della nostra Costituzione, che un esecutivo di destra si ispiri o si modelli su una visione fascista. Non basta dunque a tranquillizzarci di fronte a un possibile governo Meloni il richiamo all’assenza del rischio di violenza, dato che come sappiamo il fascismo non è stato e non è solo violenza fisica, bensì visione del mondo nonché struttura politica imperiale e oppressiva, accentratrice e razzista, discriminante e colonialista.
Il problema di fondo dunque, al di là del carattere indubbiamente civile e corretto della nostra destra parlamentare, resta quello dell’identità. A chi e a cosa guardano i rappresentanti di Fratelli d’Italia? Di chi si sentono figli? Quale Paese si dipingono? Credono veramente nell’Italia repubblicana nata dalla Resistenza? E se è così (come dovrebbe, dato che siedono nelle aule del Parlamento italiano), perché mantengono nell’iconografia del loro emblema quella fiamma tricolore che fu di Alleanza Nazionale e precedentemente del Movimento Sociale Italiano – e sin qui niente di illecito, poiché entrambi erano schieramenti della destra parlamentare – ma che prima ancora era stata il simbolo della Repubblica Sociale Italiana, ultimo feroce approdo del regime fascista? Non è questo insistito, irrinunciabile richiamo un palese riferimento a una ideologia originaria mai in realtà rinnegata e tramontata?
Il vero nodo che la destra Italiana deve dunque sciogliere, per poter essere come altrove una normale destra di governo, sono i conti mai fatti sul serio con il proprio passato, radicalmente nemico della libertà sin dalle sue origini e sviluppatosi in una vicenda dagli esiti genocidiari. L’analisi e la comprensione profonda da parte della destra italiana degli errori e degli orrori del fascismo non è questione “di etichetta”, non è un lavacro teso a donare una nuova innocenza; è piuttosto un passaggio indispensabile per decifrare il passato e poter così affrontare con una visione più aperta e prospettica le sfide globali del mondo contemporaneo, a partire da quella ineludibile delle migrazioni, che non può certo essere risolta attraverso quel rifiuto preconcetto di ogni integrazione con il diverso e la diversità che pare guidare l’atteggiamento del sovranismo nostrano, dal continuo no ad ogni accoglienza alla ribadita chiusura nei confronti dello jus soli e dello jus culturae.
È solo prendendo consapevolmente le distanze dalle proprie radici di dominio e di odio dell’altro che la cultura di destra potrà fornire il suo utile apporto alla dialettica politica e sociale del nostro paese, secondo un’ottica e una prassi dell’alternanza quali si convengono a ogni autentica democrazia.

David Sorani