Amore e giustizia

Abbiamo ricordato, nelle due ultime puntate, come Dante, nel XVII Canto del Purgatorio, dedicato al tema dell’amore, faccia riferimento alla vicenda di Ester, e come, per poter meglio valutare il suo pensiero a riguardo, sia necessario tenere presente che la festa di Purìm – con cui si rievoca tale storia – abbia dato alimento a sentimenti antisemiti.
Sulla base del fatto che, in occasione di tale festa, alcune comunità ebraiche (secondo talune testimonianze) avrebbero usato dare alle fiamme l’effigie di Amàn crocifisso, si sarebbe diffusa la convinzione che, con tale gesto, gli ebrei intendessero oltraggiare la memoria di Gesù in croce (e, come se non bastasse, una diceria popolare, verso gli inizi del quinto secolo, avrebbe fatto credere che alcuni ebrei, sempre di Purìm, avessero crocifisso un bambino cristiano). Gli imperatori Onorio e Teodosio, così, avrebbero fatto divieto agli ebrei, in occasione della festività, di bruciare l’immagine di Amàn crocifisso.
Della crocifissione di Amàn non si fa parola nel libro di Ester. Quanto alla presunta usanza di crocifiggerne l’effigie, non siamo certi che sia effettivamente esistita, né, tanto meno, quanto largamente sia stata praticata, e fino a quando. Appare molto improbabile, in ogni caso, che essa sia stata ancora messa in atto anche dopo i divieti imperiali. Essendo essa stata proibita per legge (e questo è certo), chi avesse continuato a praticarla avrebbe rischiato di grosso.
Ma vediamo, a questo punto, le due terzine che Dante dedica alla vicenda. Il poeta, come ricordato, inserisce la storia di Ester in tre visioni che avrebbe avuto alla metà esatta del suo viaggio ultraterreno. Quella di Ester è la seconda delle tre, ed è quindi collocata “al centro del centro”: Poi piovve dentro all’alta fantasia/ un crocifisso, dispettoso e fero/ ne la sua vista, e cotal si moria;/ intorno ad esso era il grande Assüero,/ Estér sua sposa e ‘l giusto Mardoceo,/ che fu al dire e al far così intero.” (25-30).
I versi sollecitano quattro considerazioni.
Innanzitutto, riguardo alla faccenda della crocifissione, il poeta parla di un Amàn “crucifisso”, distaccandosi così dal testo biblico, che narra di impiccagione a una forca. Come mai? Un semplice errore appare molto difficile, tenendo conto della profonda conoscenza della Bibbia da parte del poeta. Probabilmente, la memoria dell’usanza di crocifiggere l’immagine del ministro persiano era arrivata fino ai suoi tempi, e Dante sceglie, nel testo, di rifarsi ad essa, come se i contenuti specifici del libro di Ester fossero stati modificati, nella narrativa popolare, da questa pratica (o dalla diceria riguardo ad essa).
Qualcosa, certamente, di abbastanza inusuale, che, però (ed è questa la seconda considerazione) potrebbe spiegarsi con un desiderio, da parte del poeta, di “riabilitare” l’usanza di ricordare la vicenda di Ester con l’esibizione dell’immagine di Amàn crocifisso (della pratica di bruciarla non si fa menzione). Se è così, Dante si colloca agli antipodi di Onorio e Teodosio, non condannando in nessun modo tale pratica, anzi, rievocandola in modo positivo. Non ci sarebbe stato, in essa, nessun riferimento, neanche lontano, alla crocifissione di Gesù, e quindi gli ebrei non avrebbero fatto nessun oltraggio alla religione cristiana. Avrebbero solo ricordato il giusto castigo di un empio nemico di Israele, e, così facendo, avrebbero fatto bene. Dante è sulla sponda opposta dell’antisemitismo, difende ed elogia gli ebrei.
La terza osservazione è, ancora una volta, la straordinaria capacità di sintesi dimostrata dal poeta. In soli sei versi egli riesce a offrire un mirabile compendio di una vicenda intricata e complessa, mostrandoci i quattro protagonisti tratteggiati con poche, icastiche parole, che ne rievocano le caratteristiche essenziali: Amàn è “dispettoso e feroce”, Assuero è “grande”, Mardocheo “giusto”, mentre di Ester si ricorda solo il suo essere stata “sposa”. Non c’è bisogno di rammentarne le virtù, sono ben note. Un malvagio, due giusti e un uomo potente e influenzabile, che ebbe modo di ravvedersi. E i giusti prevalgono. La storia di Israele è l’eterna storia della ricerca della giustizia. Dante la ama e l’ammira per questo.
L’ultima osservazione riguarda il rapporto tra amore e giustizia. I due concetti sono ben distinti, ma anche interdipendenti. La scena che si svela all’“alta fantasia” è una scena di amore, quell’amore a cui è dedicato il XVII Canto e che Ester dimostrò per il suo popolo (avrebbe potuto benissimo, forte della sua posizione di regina, salvare solo se stessa). Ma l’amore non può mai andare contro la giustizia, ma deve essere indirizzato, come quello di Ester, al suo compimento. Di qui l’ammirazione del poeta per la regina, e, di riflesso, la nostra per lui.

Francesco Lucrezi