Israel Corrado De Benedetti (1927-2022)

“Dall’Italia mi sentivo tradito: ad arrestarmi non erano venuti i fascisti, ma due carabinieri in divisa. E poi, in Israele volevamo costruire una società e un paese migliori”. Così Israel Corrado De Benedetti raccontava a Pagine Ebraiche la sua decisione nel 1947 di fare l’aliyah in Israele, lasciandosi alle spalle la sua Ferrara. Troppo vivo il tradimento di una città e una nazione che avevano voltato le spalle a lui, alla sua famiglia e a migliaia di ebrei.
Classe 1927, De Benedetti raccontava con affetto del nonno Ugo “antifascista da sempre” che “passava le sue ore da pensionato a comporre poesie contro il fascismo, Mussolini, Hitler”. E della nonna Emilia, “sentinella della tradizione” che costringeva tutti “ad andare al tempio il venerdì e il sabato”. Ma ricorderà anche il buio delle leggi razziste del 1938 e soprattutto il terribile giorno del suo arresto. Il 14 novembre del 1943 i carabinieri di Ferrara bussarono alla sua porta, portando via alle undici di sera il sedicenne Corrado. Lo misero insieme a una settantina di “altri ebrei, socialisti, comunisti, antifascisti e oppositori del regime”. Furono radunati nella caserma dietro le Poste. All’alba ci fu un appello. De Benedetti non era tra gli undici chiamati, che furono fucilati proprio davanti al muretto del Castello Estense. Una vicenda poi raccontata da Giorgio Bassani – per un periodo insegnante di De Benedetti alla scuola ebraica – nel racconto Una notte del ’43.
Gli altri prigionieri furono portati in via Piangipane, dove il giovane Corrado rimase fino al gennaio del 1944. Qui tornerà oltre settant’anni dopo in visita per vedere i lavori del Museo dell’Ebraismo Italiano e della Shoah. “Mi emoziona molto tornare qui, anche se tante cose sono cambiate”, le sue parole mentre si aggirava per il cantiere. “Qui nel sottotetto c’erano i cameroni, in cui eravamo chiusi a gruppi di quindici, con un bugliolo per i nostri bisogni. Mentre di là – il nitido ricordo di Di Benedetti – c’era l’unico vero bagno disponibile, dove potevamo andare solo se c’era una guardia ad accompagnarci. Era da lì che comunicavamo con i parenti e gli amici all’esterno, che ci aspettavano appostati sulle Mura”.
Dalla prigionia si salvò anche grazie alla sua combattiva nonna, Emilia Tedeschi in Vita Finzi, che “il 15 gennaio fece irruzione in Questura, da un tale Stefani – raccontò De Benedetti –, lamentandosi di essere solo una povera vecchia, con una figlia malata e un nipotino ingiustamente imprigionato. Fu così che mi misero agli arresti domiciliari. Per circa due settimane mi presentai negli uffici della Polizia mattino e sera, poi smisi di farlo e nessuno venne più a cercarmi”. Fino alla liberazione, lui e la sua famiglia rimasero nascosti sotto falso nome in Romagna. Finita la guerra, c’è l’Università. Si iscrisse a Ferrara, entrando allo stesso tempo nel movimento Hechaluz, che formava i giovani ebrei in vista della partenza per Eretz Israel. Ben presto decise che quella doveva essere la sua destinazione. Gli ideali del sionismo socialista lo avevano convinto e la ferita della persecuzione era ancora viva. “Fino al giugno del ‘43 ho vissuto uno dei periodi più felici della mia vita. – ricorderà nell’intervista a Pagine Ebraiche firmata da Daniela Modonesi – Io e i miei amici ci sentivamo come in una bolla di vetro: intorno c’erano i bombardamenti, l’Europa in fiamme, mentre noi studiavamo, scoprivamo un mondo pieno di sfumature, e insegnanti bravissimi come Bassani ci spiegavano il socialismo, il comunismo, ci parlavano della guerra di Spagna. Le scuole ebraiche hanno segnato un passaggio cruciale per la mia generazione, creando amicizie, cementando rapporti e preparando al dopoguerra quelli che si sono salvati. Poi, però, come molti altri, mi sono sentito tradito dall’Italia e il mio obiettivo è diventato quello di costruire in Israele una società e un paese migliori”.
Nel novembre 1949 decise così di partire, stabilendosi a Ruchama, nel Negev settentrionale, dove ha vissuto gran parte della sua vita. Del kibbutz è diventato con il tempo una colonna, entrando nella direzione economica del movimento nazionale. Mantenne un legame con l’Italia costante, dove fu inviato a rappresentare il movimento giovanile e l’Organizzazione Sionistica Mondiale. Sul fronte politico scelse la sinistra di Meretz, entrando nella direzione del partito. Ennesima prova del suo attivismo politico e sociale, raccontato in libri come I sogni non passano in eredità. Cinquant’anni di vita in kibbutz e Un amore impossibile nella bufera. Una parte della sua vita italiana invece la racchiuse nel volume Anni di rabbia e di speranze: 1938-1949.
Sia il suo ricordo di benedizione