Guardare cielo, stelle e pianeti

Arrivato nel settembre 2015 all’aeroporto di Bangkok con la troupe del film Maestro, un cartello avvisava che offendere il nome di Buddha in Thailandia era reato; il driver ci prelevò e partimmo per raggiungere a km 100 da Bangkok una anziana musicista testimone dell’occupazione giapponese.
Il giorno dopo partimmo per il ponte sul fiume Kwai che non è soltanto correlato a Kanchanaburi ma appartiene all’immaginario di chiunque abbia visto il film di David Lean del 1957; il film mostra un ponte di legno che salta in aria, in realtà esso è solidamente fatto di ferro anche se durante la Guerra, vicino al famoso ponte, ce n’era uno ligneo successivamente demolito.
Dopo uno scambio tecnico lungo il percorso e un veloce pranzo a base di riso e verdure, giungemmo a Kanchanaburi (nell’immagine); ero arrivato a un incrocio fatidico di un cammino di vita e lavoro, il ponte sul fiume Kwai era meraviglioso, raramente come quel giorno ho avvertito la bellezza di questa ricerca.
Quando non passa il treno il ponte è percorribile a piedi, poco lontano c’è un tempio con un Buddha in posizione eretta, la postura del Buddha indica un tempio cinese a differenza di quello thailandese che ha il Buddha reclinato; per risalire la sorgente che scorre in quei monumentali hub storici occorre arrivare ben documentati ma spesso la realtà si rivela più labirintica e affascinante.
Bisognava spostarsi a Chungkai dove c’era un cimitero militare e, poiché la via più veloce era quella fluviale e fortunatamente non era ancora cominciata la stagione dei monsoni, prendemmo un battello; attrezzati di tutto il necessario, ci recammo a Chungkai navigando nel fiume Kwai.
Il Campo di Chungkai fu aperto nel novembre 1942 poco distante da Tamarkan ed era agli ordini del tenente colonnello giapponese Yanagida; contava 11.000 prigionieri di guerra addetti ai lavori forzati sia sulla linea settentrionale della famigerata Death Railway che alla costruzione del ponte sul fiume Kwai, due ingegneri giapponesi sovrintendevano ai lavori della ferrovia.
Costituito da 20 capanne per l’accoglienza dei prigionieri, Chungkai era dotato di campetto di calcio, teatro, cappella, cimitero e ospedale (due lunghe capanne con sala operatoria), l’intero plesso era collegato ai villaggi limitrofi ma ai prigionieri era vietato visitarli; i prigionieri furono decimati da scabbia, malaria, malnutrizione, beriberi e dissenteria, il Campo fu chiuso nel giugno 1945.
Ricoverato presso l’ospedale di Chungkai per dissenteria amebica e beriberi, nell’autunno 1943 il tenente britannico Norman Smith – trombettista, direttore e arrangiatore dell’orchestra dei prigionieri di Kanchanaburi – scrisse un Bolero per due violini, clarinetto, due trombe e chitarra subtitolato The Exiles; nel 1944 il Bolero fu eseguito a Chungkai nell’arrangiamento orchestrale del jazzista, cabarettista, clown bandleader e produttore musicale Han [Henri Jacques] Samethini (nell’immagine), olandese coloniale nato nel 1916 a Bondowoso (Java Timur).
Smith scrisse gli arrangiamenti dello spettacolo Animal Crackers e diresse l’orchestra con la direzione scenica di John Coast, nello spettacolo fu eseguita una composizione originale di Smith ossia la musica per una Lotus Dance; in prigionia scrisse marce, canzoni e pezzi per organici vari.
La maggior parte dei musicisti coinvolti nell’attività musicale e teatrale nei Campi giapponesi – anche nel repertorio leggero e di intrattenimento – erano professionisti e amatori di adeguata preparazione classica; Smith e altri non disdegnarono tuttavia di dirigere musiche di altri generi.
I direttori di coro (da citare Norman Halliday e Gibby S. Inglefield) erano generalmente coinvolti nella preparazione per gli uffici religiosi, talora in concerti con orchestra o esclusivamente corali come The Christmas Spirit eseguito a Chungkai nel 1944; le compagnie teatrali costituite nei Campi dai prigionieri di guerra anglofoni crearono una intensa attività di cabaret e teatro leggero a Wangpo, Kanchanaburi e Chungkai, sono pervenuti numerosi brani strumentali e Songs di questi spettacoli.
Siamo all’epilogo di una civiltà e ogni epilogo ha avuto i suoi Savoraim (estensori del Talmud tra il 500 e il 700 e.v.), monaci benedettini amanuensi e scriptoria, raccoglitori e codificatori di tutto quanto deve essere traslato al futuro; con certosina dedizione, cervelli d’ogni epoca fissano e blindano la memoria storica, letteraria e artistica di una civiltà che va a consumarsi irreversibilmente.
Bisogna ricreare un “savoraismo” o “benedettinismo” generazionale per salvare, mettere a sistema e promuovere il patrimonio musicale che nazionalsocialismo e stalinismo intendevano distruggere nel secolo scorso; urge un lavoro di sobrietà, capacità investigativa nel recuperare tutti i pezzi, denaro (tanto), uomini coraggiosi, astenersi perditempo e scopiazzatori di lavoro altrui.
Computer e cloud hanno sostituito penna d’oca e carta pergamenata, invero non cambia lo spirito dell’esploratore; sarà come guardare cielo, stelle e pianeti ma dall’alto verso il basso.
Un nuovo Umanesimo è alle porte; cominciamo dalla Musica.

Francesco Lotoro