Una parola da cancellare

Un tweet di Amnesty Italia recitava “Oggi si giocherà Roma Tottenham ad Haifa. Non è stato possibile incontrarci, ma abbiamo inviato su richiesta di@Official ASRoma questo rapporto sull’apartheid israeliano contro i palestinesi (..) Ci auguriamo di proseguire il confronto su questi temi”. L’Osservatorio Enzo Sereni, per il tramite del suo Presidente Paolo Pollice, ha inviato la sua replica: “Su diverse testate sportive si legge che ‘Tramite il proprio profilo Twitter Amnesty Italia ha annunciato che, in occasione dell’amichevole tra Tottenham e Roma in programma ad Haifa, in Israele, l’associazione ha inviato su richiesta dei giallorossi un rapporto sull’apartheid israeliano contro i palestinesi’. Apparirebbe singolare la scelta dell’AsRoma di chiedere sua sponte un rapporto che si trova nel web, un mistero svelato dalla Gazzetta dello Sport e da un chiaro tweet della stessa Amnesty, dove risulta che ‘Amnesty ha chiesto un incontro con la dirigenza per spiegare il loro punto di vista sulla questione palestinese, ma non è stato possibile trovare una data. Così il club ha chiesto un dossier all’associazione’. Ancor più attenzione merita il fatto che Israele e tutti coloro i quali ne appoggiano il diritto all’esistenza, non abbiano mai il diritto di rifiatare, il che costituisce un déjà vu, per nulla recente ma molto vecchio. Un bravo giornalista scriveva che ‘nella comunicazione politica, ma direi dovunque, esiste una legge ferrea: chi è costretto a difendersi perde sempre’. E il diritto alla difesa? L’ASRoma, spesso derisa dai razzisti come club ebraico, ha a sua volta rispettato il diritto alla difesa chiedendo alla controparte un documento che respinga l’accusa di apartheid? L’unica cosa certa e che resta è l’ennesima accusa contro lo Stato che esprime il diritto di autodeterminazione del popolo ebraico. Sulla Radio Svizzera vi è stato un dibattito al quale hanno partecipato, tramite i loro rappresentanti, sia questo Osservatorio che Amnesty. Il dibattito e il diritto alla difesa non dovrebbero essere ben visti soltanto altrove: la democrazia è un principio universale. Nel caso di Israele, che subisce continui attentati, dov’è la difesa del suo diritto all’esistenza e alla sicurezza? Possiamo sorvolare sul fatto che perfino il diritto di ospitare una partita di calcio sia messo in discussione?”
Poco abbiamo da aggiungervi se non qualche minuzia. Per esempio, ci domandiamo cosa potesse volere Amnesty dall’ASRoma, una società attrezzata per risolvere i confronti sportivi, un poco meno per dirimere i conflitti fra popoli, sopra richiamati. E se avesse voluto soltanto, diciamo, complimentarsi per il rafforzamento della prima squadra oppure avesse inteso segnalare quali fossero i settori del campo non ancora sufficientemente competitivi, ad esempio nelle corsie laterali? Forse era questo il vero scopo, perché non potrebbe mica spingersi fino a voler impedire agli israeliani (ebrei, islamici e cristiani, bianchi e neri, omosessuali ed eterosessuali, di etnia ebraica, araba o drusa) di negare loro il diritto finanche di vedere una partita? Gli ebrei italiani, nel 1938, non potevano avere apparecchi radio, frequentare le biblioteche e andare al mare. Gli israeliani, oggi giorno, hanno compiuto qualche misfatto? Nel 1938 non si diceva che la pioggia di divieti fosse fatta senza ragione, anzi, si enunciavano tante buone ragioni. Se ora io dovessi viaggiare in Israele e volessi andare allo stadio, mi direbbero che, no, non si può, siamo stati reprobi? Reprobi? Sì, reprobi, pratichiamo l’apartheid. Sennonché, il match si è giocato. C’erano servizi igienici separati, come da apartheid? Seggiolini divisi come da apartheid? Io so che i diritti di cui godono gli arabi in Israele sono probabilmente superiori rispetto ai loro diritti nel resto del Medio Oriente. Quanti agli ebrei nei Paesi del Medio Oriente, non hanno meno diritti degli altri perché, essendo stati tutti espulsi senza alcun risarcimento, è materialmente impossibile maltrattarli. L’apartheid cosa riguarderebbe? Cisgiordania e Gaza? Poiché siamo rispettosamente in totale disaccordo col rapporto di Amnesty, intitolato all’Apartheid, abbiamo come Osservatorio Enzo Sereni il diritto ad un dibattito pubblico con Amnesty? Aspetto la risposta di Amnesty; se è per la parità di diritti, come sicuramente è, perché non dibattere su un piano di parità? Dopotutto, non credo che Amnesty, che ha un ruolo importante, pretenda di essere infallibile. Sul Corsera del 6 agosto scorso, Lorenzo Cremonesi, sull’Ucraina, scrive che il rapporto di Amnesty “non fa differenze fra vittime e persecutori. E, proprio per il profondo rispetto con cui abbiamo sempre guardato al fondamentale lavoro di Amnesty, ci preme in questo caso esprimere apertamente il nostro dissenso”. Se noi tutti possiamo sbagliare, perché non potrebbe sbagliare Amnesty? Parliamone direttamente, Amnesty, dibattiamone insieme. Intanto, cancelliamo la parola Apartheid, perché ingiusta e inconferente.

Emanuele Calò, giurista

(9 agosto 2022)