Le cinque madri
Com’è noto, una delle ragioni della modernità di Dante è data dal grande rilievo da lui dato alle figure femminili, cosa tutt’altro che scontata nel profondo Medio Evo. Sono tre donne – Beatrice, Lucia e Maria – a permettere al poeta di percorrere il suo viaggio ultramondano, e lo stesso ruolo di assoluta protagonista attribuito a Beatrice è molto eloquente al riguardo. Ella non è solo il primo amore del poeta, il simbolo della grazia divina che conduce alla salvezza, ma è anche una figura ‘forte’ di guida, insegnamento, ammonimento, il cui carattere ha dei tratti che in altri tempi si sarebbero detti ‘maschili’: rimprovera aspramente il suo amato per avere abbandonato il tragitto che gli aveva indicato, e Dante non si sente affatto sminuito o umiliato dall’essere redarguito da una donna.
Nella coppia degli amanti dannati, Paolo e Francesca, è la donna a parlare, mentre l’uomo si limita a piangere in silenzio, e le sue parole – parole di Dante, ma attribuite a una donna – restano scolpite in eterno in una pagina immortale della letteratura universale. E che dire delle commoventi parole di Pia de’ Tolomei? “Ricordati di me, che son la Pia;/ Siena mi fé, disfecemi Maremma” (Purg. V. 133-134). Credo che, per chiunque le abbia lette, sia davvero difficile dimenticarle. Di nuovo, parole di Dante, ma parole di una donna.
Anche in questo, si può dire, si può scorgere un elemento di assonanza tra la visione del poeta e la tradizione ebraica, che ha sempre altamente valorizzato – pur con i condizionamenti dei vari contesti storici – la donna, e non solo nelle consuete funzioni di figlia, sposa e madre, ma anche per le sue capacità attive di iniziativa, intraprendenza, coraggio, forza d’animo. Basti pensare alle figure di Sara, Miriam, Zipporah, Ester, Rut, Noemi, Giuditta e altre.
Nella cena rituale del Sèder, com’è noto, i bambini sono invitati a dare prova della loro abilità nel contare cantando insieme la famosa filastrocca (“Uno chi sa che cosa è? Uno sì che io lo so: Uno è Dio onnipotente, uno fu e uno è”; “Due chi sa che cosa è?” ecc.), nella quale si ricorda che i padri di Israele sono tre (Abramo, Isacco e Giacobbe), e le madri quattro (Sara, Rebecca, Lea e Rachele). Il ruolo delle donne, nella storia di Israele, appare superiore a quello degli uomini.
Alla fine del trentunesimo canto del Paradiso Dante vede Maria, tra una moltitudine di angeli festanti, sulla cima di una scala celeste. All’inizio del canto successivo, san Bernardo illustra al visitatore chi sono coloro che occupano i gradini immediatamente inferiori della scala. Sul secondo gradino dall’alto siede Eva, ormai redenta dal peccato originale, la cui posizione così elevata è dovuta, evidentemente, al suo essere progenitrice dell’intera specie umana, unica creatura, insieme ad Adamo, ad essere stata creata direttamente dal Signore. Poi ci sono Rachele (già menzionata in Inferno IV. 60 e in Purgatorio XXVII. 104), Sara, Rebecca, Giuditta e Rut (Par. XXXII. 8-12). Tutte donne, come si vede. Esse sono menzionate ciascuna col proprio nome, ad eccezione di Rut, che non viene nominata espressamente, ma della quale si ricorda che fu bisavola di re Davide (in quanto generò Obed, da cui nacque Isaia, padre di Davide: Rut 4.21-22). Neanche Davide, però, è espressamente nominato dal poeta, ma viene ricordato come “cantor che per doglia del fallo disse ‘Miserere mei’ (XXXII. 11-12). Il re, com’è noto, si rese colpevole di un grave delitto, in quanto, invaghitosi di Betsabea, ne fece uccidere il marito Uria (2 Sam. 11). Si pentì però sinceramente del suo empio gesto, tanto da scrivere il Salmo 50 (comunemente ricordato come Miserere), per chiedere al Signore di perdonarlo.
Riguardo a tale descrizione, si può dire, innanzitutto, che Dante conferma, ancora una volta, la sua ammirazione per Ia storia ebraica, e, in particolare, per le grandi donne che hanno contribuito a costruirla. Anch’egli, come nella filastrocca del Sèder, rende lode alle madri di Israele, che però, per lui, sono cinque, non quattro. L’esclusione di Lea non ha alcun valore punitivo, la prima moglie di Giacobbe, sposata per errore, certamente si trova – per il poeta – tra gli “altri molti” (Inf. IV. 61) che, dopo la discesa agli Inferi del figlio di Dio, furono elevati in Paradiso.
Riguardo all’inclusione nell’elenco di Giuditta ed Ester, ci sarebbero delle considerazioni da fare, che ci riserviamo di svolgere nella prossima puntata.
Francesco Lucrezi
(10 agosto 2022)