Vivien Buaron (1952-2022)

Ci siamo conosciute tardi nella vita. Figli grandi, matrimoni alle spalle, esperienze diverse. Eppure ci siamo sentite subito simili. Ci univa il nome, l’attaccamento alla cultura ebraica, l’impegno nella filantropia, il legame viscerale con Israele. Scherzando – ma non troppo – ci definivamo sorelle, anche se lei di sorelle ne aveva già tante, e tutte mi avevano adottata. Vivi era una persona straordinaria. Forte, intelligente, solare, ma soprattutto buona. Un termine desueto, un valore che oggi forse non è più di moda, in un mondo dove si ammirano i furbi, i ricchi, gli influencer. Non ho mi sentito Vivi parlare male di qualcuno. L’ho sempre vista impegnata a fare del bene, ad aiutare gli altri, a raccogliere fondi per le istituzioni israeliane, sempre con modestia, senza mettersi in mostra, senza voler apparire. Eppure avrebbe avuto tutte le ragioni per primeggiare. Era bella, di una bellezza intensa, mediterranea, sensuale. Intelligente e colta. Aperta agli altri. Capace di giudizi profondi, mai banali. Amata da tutti perché era genuina, incapace di fingere o di mentire. Riservata, raramente parlava di sé. Me ne rendo conto in questo momento, mentre cerco di scrivere un ricordo di lei e mi accorgo quante cose non sapevo della sua vita, forse perché tra noi i fatti, le informazioni, erano superflue, ci capivamo anche nei silenzi, nelle cose taciute. Vivi amava la vita. Quando le fu diagnosticato il sarcoma che l’avrebbe portata via in pochi anni, mi disse: “Voglio combattere. Amo troppo la vita”. E ha combattuto come una leonessa, senza lamentarsi, senza compiangersi, trovando la forza, anche nei momenti più duri, di frequentare gli amici, uscire a cena, andare a teatro, ai concerti, al cinema, di tenersi informata, leggere, impegnarsi in politica. Sempre con il sorriso. Ricordo quando con la prima chemio perse tutti i capelli, ma non si perse d’animo. Bella sempre, con una elegante parrucca, e poi con i capelli cortissimi, che aggiungevano qualcosa di speciale al suo fascino. Eppure non aveva avuto una vita facile. Nata a Tripoli da una famiglia importante ma vittima di persecuzioni atroci, arrivò in Italia bambina, negli anni ’60. I suoi avevano perso tutto, e furono anni duri, di lavoro e sacrifici. Ma Vivi aveva la capacità di godere delle piccole cose, di trovare momenti di felicità anche nelle avversità. Il suo sorriso è una luce che tutti quelli che l’hanno conosciuta di porteranno dentro. Il suo corpo fisico tornerà in Israele, la sua patria di elezione. Ma il suo corpo sottile rimarrà con noi, che le abbiamo voluto bene e che abbiamo avuto la fortuna di conoscerla.

Viviana Kasam

(11 agosto 2022)