Il Nobel per Rushdie
Lo scrittore Salman Rushdie, accoltellato nel corso di un festival letterario a New York, sta migliorando. Uno dei suoi figli ha raccontato che il padre “ha parlato e non ha perso il suo humor” (Repubblica). Su Rushdie dal 1989 pende la minaccia della condanna a morte per blasfemia sentenziata dall’ayatollah iraniano Khomeini. E proprio questa fatwa è all’origine dell’aggressione compiuta da un giovane americano di origini libanesi. “Alla fatwa gli amici di Rushdie, i suoi lettori, Rushdie stesso, non ci pensavano nemmeno più. Ebbene: ci sbagliavamo tutti. – scrive il filosofo Bernard-Henri Lévy su Repubblica – Quel genere di assassini non si arrende mai. Possiamo disprezzare o dimenticare i cacciatori di taglie che la Storia ci ha sguinzagliato alle calcagna. La muta non ci dimentica. Oggi lui lotta contro la morte. Un vento di terrore e orrore soffia sul mondo”. La risposta all’aggressione e a questo clima, sostiene Lévy, passa anche da gesti simbolici. Tra cui, la sua proposta, conferire il Nobel per la Letteratura di quest’anno proprio a Salman Rushdie.
L’attentato a Gerusalemme. Il terrorista palestinese che sabato sera ha colpito nel cuore di Gerusalemme ha agito da solo, ma la preoccupazione ora è per possibili emulatori. Lo ricorda oggi il Giornale, riferendo dell’attacco in cui sono rimaste ferite otto persone, due gravemente. Tra queste ultime, una donna incinta che è stata fatta partorire d’urgenza. Sia lei sia il neonato sono ancora in condizioni critiche. Hamas e Jihad islamica hanno subito celebrato l’attentatore, che dopo una caccia all’uomo di alcune ore si è consegnato alla polizia.
A cinquant’anni dalla strage di Monaco. “Verso le 6 del mattino, sentii qualcuno toccarmi e mi svegliai. Era Zelig Shtroch, mio compagno di stanza. Mi disse: ‘Gli arabi hanno ucciso Muni (Moshe Weinberg)’”. È il ricordo di Shaul Ladany del giorno in cui il team israeliano alle Olimpiadi di Monaco ’72 fu attaccato da un commando di terroristi palestinesi. A cinquant’anni da quella strage, in cui furono assassinati undici membri della delegazione d’Israele, Ladany – maratoneta, sopravvissuto alla Shoah – ripercorre quelle ore terribili in un’intervista al Giornale. Lui fu tra i pochi che riuscì a fuggire e a salvarsi. “Ricordo – racconta – di aver visto un intermediario che implorava uno degli aggressori con la faccia coperta di “essere umano” e di far entrare un funzionario della Croce Rossa nell’appartamento adiacente. E quello rispose: ‘Nemmeno gli ebrei sono umani’”.
Simboli. Continua sui quotidiani il dibattito sulla presenza e il significato della fiamma nel simbolo di Fratelli d’Italia. Eredità del Msi che la senatrice a vita Liliana Segre, parlando con Pagine Ebraiche, aveva invitato a togliere. Da Fratelli d’Italia e dalla leader Giorgia Meloni è invece arrivata la difesa del simbolo, come ricorda la Stampa, richiamando come il tema sia arrivato anche sui quotidiani internazionali. Sulle pagine di Repubblica il deputato Emanuele Fiano si rivolge direttamente a Ignazio La Russa, parlamentare di Fratelli d’Italia, che aveva polemizzato con Segre,“perché – scrive Fiano – pur se superstite della mattanza della Shoah e di Auschwitz, la nostra Liliana, sarebbe rea di aver avuto un marito, sia pace all’anima sua, che molti anni addietro si candidò nell’Msi. Liliana Segre ha spiegato bene, più volte, quel passaggio, e il suo quasi divorzio per quella scelta per lei incondivisibile”. Il deputato Pd poi aggiunge: “quella fiamma che rimane accesa è il debito con un passato che oggi in parte criticate, per fortuna, ma in ritardo. Estinguete quel debito, chiudete i conti, spegnete la fiamma che avete ereditato da una storia indegna”. E conclude: “non avete certo bisogno di offendere la sensibilità di una donna anziana che di quella fiamma mussoliniana sente ancora la ferita”.
Il futuro del governo. Intervistato dal Corriere della Sera il leader di Azione Carlo Calenda afferma “con un governo a guida Meloni non avremmo il fascismo, ma il caos”. A suo dire chiunque dovesse prevalere alle elezioni, al governo non durerebbe “più di sei mesi”, viste le “enormi contraddizioni interne”. Per la scrittrice Helena Janeczek, a colloquio con la Stampa, “l’eredità post fascista è solo uno dei temi” legati a un possibile governo a guida Fratelli d’Italia. “Penso ai rapporti con Orban e anche con l’asse putiniano, un asse globale delle destre che ha come suo intento di indebolire l’Unione europea. L’Italia potrebbe diventare un cavallo di Troia”, la sua valutazione. Sulle stesse pagine, Marco Tarchi, docente di Scienze Politiche con un passato nell’organizzazione giovanile del Msi, spiega di non vedere un pericolo di deriva autoritaria e illiberale in stile Orban con Meloni alla guida del paese. Sul tema della condanna del fascismo, Tarchi poi afferma che Meloni “ha evitato, mi pare, espressioni roboanti perché non solo avrebbero potuto dispiacere a una parte del suo pubblico – che, lo ripeto, dell’esperienza fascista nel suo complesso non ha, e non può avere, una visione identica a quella della sinistra, che è altrettanto parziale e faziosa, pur se di segno rovesciato – ma anche perché sarebbero apparse meramente strumentali o opportunistiche”. Ci si chiede perché sull’esperienza fascista non si possa avere un giudizio comune e identico di condanna, da destra a sinistra.
Daniel Reichel