Il problema della fiamma

Il problema della fiamma tricolore, simbolo di Fratelli d’Italia, non è la fiamma tricolore. E non è certo il cambiamento di un logo che cambierà la natura di un movimento erede del Movimento Sociale Italiano e incapace di tagliare credibilmente i ponti con il fascismo mussoliniano. Il problema di Fratelli d’Italia – che per Fratelli d’Italia non è affatto un problema – è l’incapacità di tagliare con le proprie radici e con un’ideologia di antisemitismo, di razzismo, di guerra e di morte.
Troppo facile dissociarsi, sotto elezioni, dall’ignominia delle ‘Leggi razziali’ e dall’errore criminale dell’alleanza con i nazisti. Ci sono voluti forse ottant’anni ai nostalgici mussoliniani per riconoscere i diffettucci della politica fascista? Quando Gianfranco Fini, nel 2003, in occasione della sua visita a Yad Vashem, cercò di distanziarsi dagli errori più marchiani e indifendibili dell’ideologia fascista (e sembra che l’identificazione fra fascismo e il ‘male assoluto’ non l’abbia mai letteralmente dichiarata!) le reazioni nel suo partito furono di sgomento. Fini fu trattato da traditore da un nutrito gruppo di nostalgici delusi.
Abolire in buona fede la fiamma dal logo significherebbe trasformare l’ideologia neo- e post-fascista in un complesso di idee e mentalità di carattere liberale, accettabili in un sistema democratico. Una trasformazione del genere richiederebbe un totale cambiamento di linea politica, cui si immagina Fratelli d’Italia non possa e non intenda rinunciare. Un partito che disconoscesse i propri legami con il passato mussoliniano, antidemocratico, razzista, guerrafondaio e colonialista; un partito che ragionasse con umanità nei riguardi del fenomeno dell’immigrazione, senza inculcare nella gente l’idea che sia il problema principe della società italiana; un partito che rinunciasse al bacino elettorale di movimenti razzisti come Forza Nuova e Casa Pound, e che smettesse di far leva sui sentimenti sciovinisti anti-europeisti, e separasse il proprio destino dalla politica sovranista di Orban e di Le Pen. Ma un partito del genere non sarebbe più un partito credibile per i suoi elettori. Il partito di Giorgia Meloni ha senso proprio in quanto è quello che è, ed è inutile pretendere che qualcosa cambi solo per renderlo più accettabile ai nostri occhi democratici. Se l’Italia ha bisogno di un partito liberale, saranno i politici di fede liberale ad accorgersene e a voler fondare un nuovo partito, ora inesistente. Se poi Giorgia Meloni e camerati vorranno ricredersi sull’ideologia che finora li ha sostenuti, saranno loro stessi a decidere di fondare un partito diverso e a rinunciare al grosso della loro pesante eredità. Agli elettori spetta solo di giudicare quanto credibile possa essere la metamorfosi.
Per ora, se davvero si volesse aiutare Giorgia Meloni a reimbellettare ideologia e usi del suo partito, si potrebbe consigliarle di chiedere ai suoi rappresentanti politici di partecipare alla Festa della Liberazione, il 25 aprile, quando invece si è costretti a notare l’assenza di politici con cariche istituzionali che preferiscono recarsi invece a Predappio a onorare il Duce con il braccio levato nel saluto romano e al canto di Faccetta nera. Questi sono i politici di Fratelli d’Italia che aspirano a guidare il paese. È lecito allora nutrire preoccupazioni e paure, senza illudersi che il cambiamento di un logo possa produrre il miracolo della conversione.
Che la fiamma tricolore rimanga allora fiamma tricolore, ben chiara e visibile, ben riconoscibile a ogni occhio democratico. Solo così ci si potrà guardare e, ove necessario, difendere, da una ideologia che la storia ha già condannato e con cui noi, democraticamente, abbiamo accettato ingenuamente di convivere.
La Costituzione ci aveva avvertito (XII disposizione transitoria e finale: ‘E` vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista’), ma noi non le abbiamo dato retta. Quando cercheranno di cambiarla la Costituzione, capiremo il nostro errore.

Dario Calimani

(16 agosto 2022)