Guerra e siccità

Due calamità (il combinato disposto, direbbero i burocrati) che ci perseguitano, ma di cui pochi o nessuno si preoccupa. I titoli dei giornali ci segnalano il contrastato accesso ai silos di grano ucraini e il successivo trasporto verso occidente. Ma parliamo del passato (il grano di cui sopra è stato raccolto nella campagna 2021 e poi insilato). Dubito fortemente che esista un raccolto del 2022… Se anche i campi dell’Ucraina fossero stati seminati, difficilmente il loro prodotto è stato raccolto: bombe, spari ed incendi, non sono il miglior…”fertilizzante” per un prodotto agricolo.
Comunque quello che è stato è stato. Ora è il momento di guardare avanti, ma nessuno sembra preoccuparsene. Il prossimo autunno è la stagione della semina del frumento per il raccolto del 2023. Con il caos dovuto alla guerra non è pensabile che gli ucraini, già fornitori di una cospicua frazione dei cereali consumati in Europa, abbiano la possibilità di offrire un significativo contributo alla soddisfazione del fabbisogno cerealicolo europeo. Quindi…!? Occorre che gli europei (e non solo loro) si rimbocchino le maniche. Il Canada antico fornitore di cereali dell’Europa, in parte soppiantato dall’Ucraina, deve e probabilmente tornerà a contribuire alle necessità alimentari del Vecchio Continente. Ma in una situazione di emergenza come quella attuale non è saggio contare troppo sugli “altri”. L’Italia e l’Europa nel corso degli anni si erano volti a colture della filiera zootecnica o comunque ad alto valore aggiunto e di pregio ecologico (soia, pisello proteico, ecc.). Ma adesso dobbiamo badare…”al sodo”: il frumento per il pane e la pasta. Se la redditività di queste colture non è soddisfacente occorre che i Governi e l’Unione Europea incentivino il ritorno alla coltivazione di cereali per l’alimentazione umana con appropriati sussidi. Anche in Israele si era assistito ad un’evoluzione simile, ma ancora più accentuata. Data la carenza di acqua, il lavoro agricolo si era concentrato su colture ad alto valore aggiunto: agrumi (aranci e pompelmi) e ortaggi di pregio (meloni precoci e simili), abbandonando la coltura del frumento. Negli anni ‘70 del secolo scorso il frumento veniva coltivato in tutto il paese, fino alle soglie del Negev. Esisteva una “linea” (a metà distanza tra Ghedera e Beer Sheva) che correva da ovest a est, a meridione della quale lo Stato non garantiva il prodotto. A settentrione, se l’annata decorreva troppo asciutta, gli agricoltori avevano diritto a un indennizzo da parte dello Stato. Successivamente gli agricoltori hanno abbandonato questo indirizzo e si sono orientati verso colture più redditizie: pomodori e meloni precoci. Con splendidi risultati. Mentre in Europa scendeva la neve, da Israele arrivavano meloni squisiti. Ma questo tipo di coltivazione richiedeva un’abbondante irrigazione. E, per dirla con un responsabile degli orientamenti agricoli di Israele, “non aveva senso spedire dal deserto ‘palle d’acqua’ verso le rive del Reno”.
Le coltivazioni furono rapidamente ri-orientate verso specie meno bisognose di acqua, ma ugualmente redditizie: i fiori. Ma non tutti i fiori sono parchi nella loro sete. Rose e tulipani, che con il clima mite del deserto del Negev fioriscono ben prima che in Europa, non sono però compatibili con un’ irrigazione limitata. Ecco quindi la diffusione della coltura di Gypsophila (i bianchi fiorellini, assai poveri di acqua nei loro petali, che accompagnano le rose o i tulipani, coltivati altrove, nella composizione dei mazzi di fiori recisi) molto parca nelle sue esigenze idriche, ma sufficientemente remunerativa sui mercati.
Oggi tutto questo è da rivedere: prima dei mazzi di rose viene il pane.
Leggendo i giornali non sembra che nessuno se ne preoccupi, ma è sperabile che da adesso all’autunno (al momento delle semine), sia i coordinatori della politica agricola (di Europa e di Israele), sia i coltivatori, ci pensino e soprattutto provvedano: preparazione dei terreni, acquisto della semente e dei concimi, disponibilità delle macchine agricole necessarie per queste operazioni non si improvvisano.

Roberto Jona, agronomo

(18 agosto 2022)