Pagine Ebraiche – Libri in valigia
Uri Orlev, la Memoria scolpita nel cuore
Più che un consiglio, un ricordo di Uri Orlev. Nel settembre 2007, a Mantova, abbiamo portato in scena lo spettacolo L’Isola in via degli uccelli, forse il libro più conosciuto dello scrittore israeliano, nato Yurek Orlewskiad, in una famiglia borghese di Varsavia. Erano passati appena sette anni da quando era stato istituito il Giorno della Memoria e il libro semibiografico di Orlev era piuttosto innovativo nel panorama letterario italiano per ragazzi sulla Shoah. Alle tante domande a lui rivolte dal pubblico rispose lì – come altrove – con grande affetto, mai mostrando un segno di noia o lontananza. I lettori, adulti e bambini, erano tanti e sparsi per il mondo, dall’America fino all’Italia. Orlev li considerava i suoi compagni di viaggio preferiti. Insieme percorrevano le sue storie vere o inventate, tragiche o buffe. Storie di resilienza alla persecuzione nazista, di sopravvivenza nel ghetto, nel silenzio del quarto piano di un edificio diroccato, ma anche racconti avventurosi e di fantascienza leggeri e un poco didattici, scritti per accompagnare la crescita dei piccolini. Il suo tono era onesto e sincero, privo di paternalismo e retorica.
In un’intervista Uri ricordò al pubblico “con dolore e angoscia che la Shoah è un evento spaventoso, però umano. La gente cercava di trarre il meglio da ogni momento, accarezzare il figlio, mangiare con dignità finché fosse stato possibile, anche innamorarsi”. Appunto, innamorarsi. E in bel mezzo al racconto tragico e rocambolesco di sopravvivenza di due fratelli orfani di madre morta nell’ospedale del ghetto e abbandonati dal padre che ha scelto di raggiungere l’esercito polacco, Alex, il protagonista de L’Isola in via degli uccelli, si innamora della ragazzina che vive nell’edifico di fronte, dall’altra parte del muro del ghetto. Un segno di umanità, di quel “meglio da trarre in ogni momento” di cui parla Uri. Lui, che a differenza di Alex, non vedrà il padre tornare nel ghetto per portare via i figli sopravvissuti. Avrà la zia vicino fino all’internamento a Bergen Belsen. Qui, la lunga prigionia attraversata con il fratello Kazik e con la forza di comporre poesie nel lager, poi pubblicate nel 2005 in un volume per Yad Vashem.
Alla domanda se la grande quantità di letteratura sulla Shoah rischia di banalizzarla, Orlev rispondeva: “Se la narrazione è quella che rimane scolpita nel cuore del giovane lettore, lascerà un segno forte nella sua memoria e nella sua vita”. I suoi libri lasciavano questo segno. L’invito, ancor più ora che a Uri abbiamo dovuto dire addio, è a leggerli e a scolpirli nel cuore.
Sarah Kaminski
(18 agosto 2022)