Tappeto volante

Nel mondo ebraico il hazan – tradurlo “cantore” è riduttivo – è ancor oggi il maestro indiscusso della Shirà, l’arte di scuotere come un tappeto volante la tefillà (preghiera) e far volare ad alta quota l’intera comunità riunita in sinagoga; il hazan ha il raro dono di restituirci l’identico sapore di come si declamava la Torà nelle sinagoghe di Smirne o in quella che fu la Gerusalemme d’Europa, Vilnius.
Nelle grandi comunità ebraiche lavoravano stuoli di hazanim; severi custodi della tradizione sinagogale e dell’arte cantoriale religiosa ebraica, i hazanim sono fondamentalmente musicisti e la musica, si sa, è un organismo vivente che si muove o si deforma, respira o trattiene il fiato.
Molto sensibili ai cambiamenti epocali del gusto musicale e della timbrica, nel sec. XIX i hazanim condussero per mano l’Europa ebraica a rendere omaggio al più esteso fenomeno musicale di quel tempo ossia l’opera; c’era chi si recava ogni Shabbath in sinagoga per ascoltare il hazan eseguire recitativi, arie, cantillazione dei testi sacri e cadenze con ugola degna del miglior Pavarotti.
Dopo la Rivoluzione bolscevica e il pesante clima antireligioso instaurato dal regime sovietico, centinaia di hazanim fuggirono da Paesi di grande vita e tradizione ebraica quali Russia, Bielorussia e Ucraina per tentare maggior fortuna altrove; molti di essi non nutrivano particolare simpatia per il sogno americano, pertanto emigrarono prevalentemente in Europa occidentale e America Latina.
Nel territorio metropolitano del Reich, chi riuscì a emigrare prima dell’emanazione delle Leggi di Norimberga (1935) trasferì inimmaginabili tesori della hazanuth in Gran Bretagna, USA, Canada, Australia; nei Paesi occupati dalla Germania nazionalsocialista durante la Seconda Guerra Mondiale, nella generale catastrofe i hazanim subirono una pesante decimazione.
A soli 20 anni il hazan e musicista olandese Samuel Henri “Sam” Englander assunse l’incarico di direttore del coro della Grote Synagoge di Amsterdam (oggi Joods Historisch Museum) portandolo a risultati artistici eccezionali; nel 1924 si esibì per la regina olandese Wilhelmina in visita alla Grote Synagoge, nel 1926 si esibì in concerto al Concertgebouw di Amsterdam.
Nel 1931 si trasferì a Düsseldorf e successivamente ad Anversa; a fine maggio 1943 fu arrestato dalla Gestapo e trasferito a Sobibòr con la sua famiglia, mori l’11 giugno 1943.
Già hazan a Kalisz, Tarnow e Bratislava, nel 1926 il compositore polacco Israel Eljasz Maroko si trasferì ad Amsterdam dove assunse l’incarico di hazan principale presso la Grote Synagoge; scrisse numerosi brani vocali destinati alla hazanuth dei quali è unicamente pervenuto il poema liturgico Had Gadya scritto nel 1941 (il documento originale è conservato presso lo Yad VaShem).
Il 20 luglio 1943 fu arrestato e trasferito con la sua famiglia a Westerbork e infine a Sobibòr; furono uccisi tre giorni dopo, suo figlio Simon-Wolf miracolosamente sopravvisse.
Dovid Ayznshtat pubblicò un’enciclopedia di musica popolare in lingua yiddish ed era direttore di coro presso la Wielka Synagoga quando il ruolo di hazan principale del tempio ebraico era ricoperto dall’eccellente tenore Gershon Sirota detto il “Caruso ebreo”, deceduto con i suoi familiari durante i giorni dell’insurrezione del Ghetto di Varsavia; nel 1942, durante il trasferimento a Treblinka, un ufficiale tedesco sparò ad Ayznshtat e sua moglie dopo aver fatto altrettanto con la figlia Marysia la quale, allocata in un trasporto diverso, cercava di raggiungere i propri genitori.
Nel 1922 il galiziano Israel Fajwiszys [Fivishes], già direttore dei cori delle sinagoghe riformate di Brody e Tarnów nonché del coro della Synagoga Tempel di Cracovia, si trasferì a Łódź e allo scoppio della Guerra a Varsavia; trasferito nel Ghetto, fu tra i fondatori del coro Szir.
Combattente nella Resistenza armata durante l’insurrezione del Ghetto, Fajwiszys fu arrestato e trasferito con la figlia presso il Campo di lavori forzati di Poniatowa; fu ucciso nel novembre 1943.
Molti hazanim hanno lasciato preziosi documenti sonori; nonostante l’inevitabile fruscìo delle vecchie registrazioni, la purezza del canto e il classico gioco di emissione nasale nonché l’impressionante volume negli acuti fanno passare in secondo piano la qualità del supporto fonografico.
È un canto primordiale, rimasto inalterato nei secoli, non è necessario comprenderne il testo poiché ascoltarlo è sufficiente a trasferirci su un piano trascendentale; è un canto che arriva da così lontano da condurci in pochi attimi nell’iperspazio.
È questo è il segreto della musica.

Francesco Lotoro

(18 agosto 2022)