Carne, pesce e pregiudizi

A meno che i miei ricordi di prima della pandemia siano idealizzati ho l’impressione che negli ultimi tempi la disponibilità verso i vegetariani sia diminuita, in particolare nei luoghi di villeggiatura. Menu interi senza neanche un piatto vegetariano. Chi mangia casher “all’italiana” (o come vogliamo definire chi non mangia solo in ristoranti casher) ancora riesce a cavarsela con qualche pesce (e comunque si tratta di una minoranza così esigua che non ci si può aspettare che qualcuno ne tenga conto), ma i vegetariani in Italia (o tra i turisti stranieri che vengono in Italia) sono davvero così pochi che vale la pena fingere che non esistano? Strano, se penso che i miei allievi hanno organizzato un picnic pre-maturità esclusivamente vegetariano. Evidentemente chi ha venti o trent’anni più di loro ha una sensibilità del tutto diversa. Altrimenti che problema ci sarebbe ad aggiungere a un menu uno o due piatti vegetariani? Viene il sospetto che sia una sorta di scelta ideologica per contrastare un’altra scelta ideologica. Una sorta di sottile e inquietante intolleranza verso una minoranza esigua ma non irrilevante.
Forse c’è il desiderio di non avere vincoli di alcun genere dopo i quasi due anni di pandemia trascorsi tra un vincolo e l’altro; eppure i vincoli stimolano la creatività, anche in cucina. O, ancora, c’è il piacere di preservare la tradizione; capita però anche di vedere piatti tradizionalmente vegetariani arricchiti con aggiunte varie. Certo, i piatti vegetariani sono più economici, e forse meno convenienti per il ristoratore, ma è una buona politica scoraggiare tavolate intere di potenziali clienti onnivori che contano nel loro gruppo uno o due vegetariani?
Qualcuno mi ha detto: se fanno così avranno visto che per loro è conveniente. Sarà. Ma se davvero tutti fossero sempre capaci di capire quali sono i loro interessi e regolarsi di conseguenza, senza farsi condizionare da pregiudizi di alcun genere, sarei molto più tranquilla in vista delle elezioni.

Anna Segre