Il fruscio di questi nostri anni
Emilio Jona, studioso dal multiforme ingegno, testimoniato da una bibliografia che rispecchia la straordinaria capacità di esprimersi in un ventaglio di tastiere, dagli anni cinquanta a oggi ha anche prestato una costante attenzione alla scrittura poetica (che per lui è un’altra forma per cantare la Storia). Il suo lungo itinerario nel campo letterario, costellato da documenti, libretti d’opera, testi narrativi, teatrali, saggi, canzoni popolari, frutto di ricerche sull’espressività urbana e contadina, comincia anche in rima con Tempo di vivere (Milano, Mondadori, 1955) che oggi si specchia nel titolo della sua recente raccolta di versi: Il non più possibile fruscio degli anni (Interlinea, Novara 2022). Tra queste due opere si deve almeno citare La cattura dello Splendore, Poesie 1948-1995, prefazione di Gian Luigi Beccaria (Milano, Scheiwiller, 1998), che ha avuto numerosi e meritati riconoscimenti (finalista Premio Viareggio 1998; Premio Catanzaro Poesia 1999).
I nuovi componimenti che Emilio Jona dispone con un sapiente gioco a incastro in cui irrompono ricordi orchestrati da rime, ritmi e metri musicali, ripercorrono la sua storia come se volesse confermare ancora una volta che la poesia è sempre una fusione di arti sorelle. Il suo libro riassume così una vita intrisa di affetti e di memorie che intonano un Canto della genetica e dell’amore biologicamente diffuso e i modelli ereditari del suo “gene, ebraicità, poesia”.
Composto in quindici sezioni nei due anni di pandemia, di solitudine e d’inquietudine, il poeta costruisce il suo nuovo mosaico di storie con gli strumenti di quella “sciagurata tribù” alla quale appartiene, di malati di poesia e letteratura, quella capace di fondere suoni, immagini e personaggi che incarnano il contrasto. Nei suoi versi, infatti, la bellezza e la malattia, il dolore e la tenerezza, la giustizia e la colpa, il peccato e l’innocenza, rappresentano l’elemento principe di tutta la storia: “il fruscio degli anni” che scorrono davanti ai suoi occhi. La necessità di questo libro che raccoglie componimenti di un ventennio (1999-2021) si manifesta nelle ultime sezioni, dove appare chiaramente il bilancio di una vita trascorsa alla ricerca di “un paesaggio d’ossigeno e di luce”, per dimenticare la pestilenza di guerre prive di futuro. Nel suo Rendiconto progressista Jona elenca i guasti di quel genere di Storia e sono i gemiti di chi ha creduto che dopo lo sterminio degli ebrei il mondo potesse cambiare. E, invece, continuano a proliferare “covi di odio”, ossimoriche democrazie, veleni che si spargono come le schiere infernali di un virus che produce altre solitudini coatte e altre “bare su filari / di camion militari”.
Con questo intreccio di memorie Emilio Jona ha ricostruito la sua vita, i paesaggi, le speranze e le illusioni: un mosaico di storie che scorrono come “un non più possibile fruscio degli anni”, con la stessa nostalgia per il piacere di “uno sciare armonioso / su curve vereconde”.
Giovanna Ioli