Un ripensamento necessario

“L’antisemitismo di sinistra non ha niente a che vedere con il ben noto, razzista e violento antisemitismo di destra. Deriva piuttosto da un modello di pensiero che divide il mondo in oppressi e oppressori, assegnando quest’ultima etichetta agli ebrei, visti come popolo ricco, potente e manipolatore. È un sentimento che sconfina in molto più di una legittima opposizione alle politiche dello Stato ebraico, incorporando gli antichi stereotipi antisemiti e le classiche teorie della cospirazione.” Questo, da un articolo di ieri di Enrico Franceschini, su Repubblica, dal titolo ‘La sinistra che attacca Israele’, e, in prima pagina della stessa Repubblica un titolo anticipatore: ‘I progressisti e il virus anti-israeliano’. Era da tempo che aspettavo al varco Repubblica, di cui sono fedele lettore sin dal suo primo numero. Era da tempo che attendevo, dopo tanti mal di pancia subiti per la penna del compianto Sandro Viola e qualche suo più recente erede, che un Enrico Franceschini si risolvesse di esprimere qualche serio dubbio sull’oggettività delle posizioni del campo progressista su Israele. Qualche bestialità è uscita dalla bocca di alcuni politici anche in questi giorni, e la pelle non smette di accapponarsi di fronte a pregiudizi antisemiti e a tanta ignoranza. La speranza è, naturalmente, che un serio e sano ripensamento delle posizioni della sinistra anti-israeliana, e troppo spesso antisemita, non costringa la sinistra ebraica a rivolgersi per salvezza a sovranisti e nostalgici postfascisti. Per evitare malintesi, e si spera che sia chiaro: la conclusione esprime un impossibile paradosso e un senso di disperazione.

Dario Calimani

(23 agosto 2022)