Ticketless – Taccuino ferragostano
15 agosto. Il bancone su cui scrivo questo taccuino ha più o meno 120 anni, l’ho fatto restaurare da poco. Era conciato male. Apparteneva al fondaco di tessuti dei miei antenati: ha visto due guerre mondiali, conosce gli alti e bassi della mia famiglia molto più di quanto non riesca a ricostruire io sulle carte. Sembra incredibile: quali meraviglie siano possibili con il legno! La sua forma, rotonda a un capo, squadrata all’altro, ricorda vagamente un sommergibile: quando ero piccolo mi divertivo a nascondermi nella parte cava per ascoltare i discorsi dei grandi. Perec in un racconto famoso ha enumerato tutti i letti in cui ricorda di aver dormito. Su quante scrivanie avrò lavorato nella mia vita? Continuo a sentirmi al sicuro soltanto in questa, come quando ero bambino. 16 agosto. Poco lontano dalla casa di montagna dove abbiamo trascorso tante estati c’era una piccola casa di riposo per anziani. Causa Covid ora è deserta e mi dispiace: ci avevo fatto un pensierino. Trascorreva lì, al sicuro, giornate liete Milù. Così chiamavano un arzillo Geppetto. Con un coltello faceva intarsi meravigliosi nel legno. Non costruiva banconi e nemmeno Pinocchi, ma topolini che diventavano portachiavi, bastoni con il pomo a forma di stambecco, serpenti modellati su un ramo contorto chesi tengo infilati in uno scaffale di libreria con la lingua biforcuta rivolta verso il libro di un autore non simpatico. Si era affezionato ai miei bambini cui donava alla sera quello che aveva costruito di giorno. Parlava poco, aveva i tratti del mistico. Che fosse lui, dicevamo, uno dei 16 giusti grazie al quale il mondo va avanti? Guardo la casa di riposo abbandonata, dove sarà finito Milù? Non sarà la sua lontananza causa del fatto che il mondo sta andando a rotoli? 17 agosto. Radio tre rimanda in onda quello che credo sia il suo capolavoro: la lettura integrale dei “Promessi sposi”; per caso ho la radio accesa il pomeriggio in cui Paolo Poli legge le pagine sull’Innominato che aspetta l’arrivo di Lucia. Poli, un attore che ho amato tantissimo, interpreta insieme e da par suo una parte femminile e una maschile, ma soprattutto, da laico quale era, trasmette una lezione di fede che turba le coscienze di chiunque, non solo dei cattolici. Il merito non è tutto suo. Come suscitatore di fede Manzoni non ha rivali. Essere in pochi, come siamo noi ebrei in Italia, ha purtroppo delle controindicazioni: per esempio ha limitato la possibilità di avere un grande scrittore capace di convincerci della necessità di essere più ligi ai precetti. Per i valdesi le cose non mi sembra siano andate meglio. Mi chiedo -senza riuscire a darmi una risposta- perché ebrei e valdesi non siamo stati capaci di produrre un libro equiparabile al capolavoro di Manzoni per trasmettere ai figli una lezione di fede così profonda. Sarebbe stato utile per combattere l’assimilazione. Ci sono i sermoni dei Maestri, il Midrash, lo so, ma la grande letteratura è un’altra cosa. Dico in Italia, altrove forse è un altro discorso. 18 agosto. Colle del Piccolo S. Bernardo. Rombano i moutiers di mezza Europa, arrancano senza sudare ciclisti che non faticano più, perché sostenuti da un motorino. Mentre posteggio, accosta un bus che deposita una comitiva di ebrei ortodossi. In un istante i tavolini del baretto sul colle si riempiono. Nonostante il sottofondo ad alto volume di musica on the road, mi sento proiettato dentro una puntata di Shtisel ambientata sulle sponde del lago Verney. Ogni tavolino, in mezzo ai caschi e alle tute nere dei moutiers, si nasconde una storia. Su quel bus di ebrei ortodossi forse Milù si sarebbe sentito a suo agio. Non si può immaginare contrasto più impressionante tra quello che vedono i miei occhi e quello che sto leggendo nel reportage di Aldo Cazzullo uscito oggi sul Corriere. Guardando i turisti in un autogrill sull’A1 scopriamo un’Italia rumorosa e imbarbarita quanto mai lontana da quello che scorre davanti ai miei occhi. Un bimbetto biondino con i riccioli sale a cavalcioni su un cane S. Bernardo scolpito nel legno. Lui a cavalcioni, come me nel cavo del bancone. Non amo fare fotografie con il cellulare e poi l’ombra di Milù non sarei capace di farla entrare nell’obiettivo. Salterebbe fuori la cartolina più bella di questa strana estate. 19 agosto. Che cosa voterà l’Italia caciarona che Cazzullo descrive nel suo reportage dall’autostrada del Sole? Soprattutto, andranno più italiani questa volta a votare? Di astensionismo si parla molto, ma non mi sembra si dica tutto quello che si dovrebbe dire. Rivedo una persona che mi è molto cara, più anziana di me, milanese, impegnata in politica negli anni della contestazione. Ci vogliamo molto bene anche se abbiamo sempre avuto idee lontane in politica. Mi confessa che nemmeno questa volta andrà a votare. E’ così, dice, ormai da più di vent’anni. Pur non disponendo di virtù pedagogiche alla Manzoni o recitative alla Poli cerco di convincerla: questa volta non ci si può astenere, mi appello al marito che non c’è più, forse avrebbe cambiato idea vedendo l’Italia di oggi. L’astensionismo degli ex sessantottini, credo siano parecchi, dovrebbe indurre a riflettere. Lo scrivo dopo che “La Verità” ha pubblicato una doppia, inquietante intervista a Capanna e Bertinotti. C’è astensionismo e astensionismo: quello dei giovani che pensano che la politica sia una cosa sporca, quello di chi se ne infischia come gli italiani in vacanza da Cazzullo inquadrati nel suo pezzo, aggiungerei quello di anziani, ma non anzianissimi militanti della sinistra extraparlamentare, che avendo in gioventù attraversato una politica costruita sui sogni sognano oggi il partito che non c’è e non ci sarà mai. Criticano, anche con valide argomentazioni quello che la sinistra non è più, senza avere fatto molto perché la sinistra così non diventasse. Di fatto dalla militanza assoluta scivolano nell’a-politica. Come molti populisti si collocano tra coloro che non la bevono. 20 agosto. Dalla casa per anziani dove stava Milù si vede a occhio nudo la parete scoscesa da cui cadde e morì Ennio Artom nel luglio 1940. Un incidente di montagna, un dolore immenso per i genitori, primo atto di una tragedia famigliare culminata con la morte del fratello di Ennio, Emanuele, il partigiano ucciso dai nazisti. Riapro i suoi diari e trovo la frase che in questi giorni mi torna alla mente pensando ai tanti che non andranno a votare: “Il fascismo non è una tegola cadutaci per caso sulla testa; è un effetto della apoliticità e quindi della immoralità del popolo italiano. Se non ci facciamo una coscienza politica, non sapremo governarci, e un popolo che non sa governarsi cade necessariamente sotto il dominio straniero o sotto la dittatura di uno dei suoi”. Ci vuole il marmo per trascrivere queste parole, il legno non basta.
Alberto Cavaglion