Machshevet Israel
Gordon: terra e lavoro
Non passi sotto silenzio il centenario della morte di un influente pensatore sionista del XX secolo: Aron David Gordon (1856-1922). Oggi poco studiato, nella prima metà del Novecento fu una figura assai carismatica di chalutz, di pioniere in eretz Israel, terra che ‘scelse’ in polemica con la proposta del Barone de Hirsch di costruire una colonia nazionale ebraica in Argentina: immigrò infatti nell’allora Palestina ottomana durante la storica seconda aliyà del 1904, stabilendosi in seguito nel kibbutz Deganya dove seppe coniugare le sue due vocazioni: il lavoro manuale della terra di Israele e il lavoro intellettuale nella forma di una filosofia del “ritorno alla natura” quale condizione imprescindibile per la rigenerazione della stessa nazione ebraica. Nel 1905 fondò il movimento Ha-po‘el ha-tza‘ir, ‘Il giovane lavoratore’ ispirato al suo nazionalismo umanistico, laico e socialista ma nel rispetto dell’elemento religioso, nel solco ebraico di Achad Ha’am (suo coscritto, e come Gordon nato in Ucraina) ma al contempo nel solco russo di Tolstoj (dal quale attingeva parte del suo naturismo semi-mistico). Non ha lasciato scritti sistematici, e il suo pensiero – che ha alimentato diverse generazioni di ebrei sionisti prima e dopo la nascita dello stato di Israele – fu disseminato in una vasta messe di articoli su quotidiani, riviste e opuscoli vari, in ebraico ma anche in tedesco e in russo. Ricordarlo serve anche a ricordarci delle radici ucraino-russe e tedesche di quei primi gruppi sionisti est-europei.
I nazionalismi della prima metà del secolo scorso, che oggi riaffiorano minacciosi in Europa, sono stati una degenerazione dell’ideale nazionale elaborato da Gordon, che mai si sarebbe sognato di contrapporre i grandi valori etici della tradizione ebraica a quella che chiamava semplicemente una ‘rinascita nazionale’ per gli ebrei, ai quali quella dimensione politica e culturale era stata negata e che, assimilandosi, si erano imborghesiti e inurbati al punto da perdere il contatto fisico con la terra, la natura, gli animali. La riflessione gordoniana nasce da un’analisi dell’alienazione dell’uomo, dell’uomo ebreo in particolare, rispetto alla quale offrì terapeuticamente una sapiente combinazione di autonomia nazionale e di mistica del lavoro, di socialismo non marxiano e di idealismo tolstojano, di recupero delle tradizioni ebraiche e di fiducia palingenetica (tardo-romantica) nella creatività umana, il tutto nella straordinaria terra-madre che è, per gli ebrei, eretz Israel. Sebbene alcune di queste idee circolassero anche negli scritti di Achad Ha’am e Buber, Aron David Gordon fu diverso da loro perché davvero si rimboccò le maniche e passò anni a dissodare e seminare e irrigare la valle ai piedi della catena del Ghilboa. Non teorizzò sui lavoratori, abbracciò lui stesso il lavoro della terra, che ai suoi occhi attendeva da secoli il ritorno dei suoi figli; fu un sognatore socialista, non un sociologo marxista; visse la propria idea di uomo e a partire dal suo sionismo costruì una filosofia universale della rigenerazione sociale.
Scriveva: “Dobbiamo trarre la nostra ispirazione dalla nostra terra, dalla vita sul nostro suolo e dal lavoro che essa richiede… Ciò che cerchiamo di stabilire in Palestina [come si diceva negli anni Dieci e Venti] è un nuovo popolo ebraico rigenerato, non una semplice colonia della diaspora ebraica: il nostro compito è fare della Palestina ebraica [oggi avrebbe detto dello Stato di Israele] la terra-madre di tutta l’ebraicità della diaspora”. La centralità di eretz Israel non sarebbe stata tale, secondo Gordon, se essa non avesse ispirato e stimolato l’intero ‘am Israel a riunirsi, a ripensarsi in quanto nazione (allora la dimensione politica era ancora appannaggio di gruppi sionisti elitari, che non apprezzavano i toni socialisti e romantici dei gruppi di matrice ‘orientale’ ossia est-europea) e a coltivare relazioni internazionali pacifiche con le altre nazioni, a partire dalla nazione araba. La terra pone, infatti, sia il problema del diritto al lavoro sia il problema della giustizia sociale nonché del benessere economico per tutti i suoi abitanti, e questi due problemi sono importanti proprio affinché tale terra dia i suoi frutti come descritto e cantato dai profeti. L’ingiustizia sociale e la negazione del diritto al lavoro precluderebbero, di conseguenza, la stessa rigenerazione del popolo ebraico. Quest’idea era fondamentale per Gordon e i suoi estimatori, che furono numerosi nei decenni a ridosso della nascita di medinat Israel. Una volta ebbe a dire: “La nostra rinascita nazionale è equiparabile alla resurrezione dei morti”. Siffatto diritto al lavoro e a un’equa distribuzione delle risorse e dei prodotti della terra, oggi un’ovvietà morale e giuridica riconosciuta da diverse carte mondiali, all’inizio del Novecento era ancora un principio rivoluzionario, ma di una rivoluzione che nella prosa di Aron David Gordon aveva a che fare con gli ideali ebraici radicati nella Torà e nei Neviim. Il ritorno in eretz Israel era per lui un tutt’uno con il ritorno alla natura, alle foreste della Galilea, al lavoro dei campi, alla bonifica delle valli a quel tempo ancora infestate dalla malaria. Morì di cancro, a 66 anni, a Deganya, rimpianto da molti seppure non da tutti compreso.
Massimo Giuliani, università di Trento
(25 agosto 2022)