Pisa ebraica, una testimonianza
nel segno del vernacolo
“Oggi noi ebrei di Pisa, ‘vattro gatti, ognuno co’ ‘na pietra ne’ borsoni s’era in sull’Arno, scalo de’ Roncioni, che c’avran preso tutti un po’ pe’ matti… La tradizione vole – ‘vesti i fatti – che a Capodanno si ridoventa boni gettando in acque fonde de’ pietroni con i peccati nostri e co’ misfatti. A salutà’ ‘vesto rito terreno che ci lascia leggeri ‘ome foglie ecco i ‘olori dell’arcobaleno… Con noi c’era anco ‘r Neri e le su’ doglie, ma ‘un ha capito nulla e fa lo scemo: voleva buttà’ in acqua la su’ moglie!”.
Mancano ancora poche settimane a Rosh haShanah, il Capodanno ebraico. Piero Nissim, popolare artista pisano, ci introduce alla festa con questi versi dedicati a una delle tradizioni più significative: il rito del Tashlikh, che prevede il lancio di una pietra in mare o in un fiume per liberarsi simbolicamente dai propri peccati. Uno dei trenta componimenti della sua raccolta di Sonetti ebraici appena pubblicata dall’editore Salomone Belforte.
Versi in vernacolo che descrivono, con arguzia e cuore, uno spaccato di vita ebraica nella sua Pisa. L’atmosfera delle feste, i suoi protagonisti. Come Armando Castro, amatissimo presidente da poco scomparso (fu uno degli artefici del festival Nessiah, il più longevo nel suo genere in Italia). Oppure come il padre Giorgio, tra gli eroi della Delasem e rifondatore post-guerra di una sezione a Lucca (“Rifondò ir babbo la Comunità e in corso Garibaldi 5-6 tornò a riunirsi a Lucca la keillà. A festeggià’ ripresero gli ebrei Yom Kippur, Sukkot e Chanukkà come facean gli antichi Maccabei!”). Un libretto grazioso e sul quale meditare. “La stagione del vernacolo – racconta Nissim – mi è tornata alla mente con forza quando mi sono posto il problema di farmi capire da tutti nel mettere in versi temi molto attuali, dalle discriminazioni verso gli emigranti al modo in cui ciascuno di noi ha vissuto l’isolamento e la pandemia”. Schietto, diretto, arguto e ironico (anche usato verso se stessi): il vernacolo, aggiunge l’autore, “mi è sembrato lo strumento adatto allo scopo”. Tra i pregi di questi componimenti, osserva Umberto Fortis nella sua prefazione, il fatto che Nissim non guardi mai “dall’alto” la vita che lo circonda. Egli è, anzi, “parte stessa di quella realtà, vissuta giorno per giorno con i propri correligionari”, con una tanto sincera vicinanza emotiva a ogni atto e a ogni evento, triste o sereno, che, sia pur in filigrana, “lo porta nei propri versi a vivere anche momenti di ispirata, sentita partecipazione”.