Distorsione e disinformazione

Recentemente un mio datato testo sull’antisemitismo a sinistra (2007) è stato citato da un quotidiano a supporto di una polemica elettorale sull’antisionismo di alcuni candidati di sinistra. Non entro in argomento perché non partecipo se non da elettore (e il voto è segreto, come recita la Costituzione) all’attuale campagna, tuttavia vorrei soffermarmi su quella che considero una novità di questa strana tornata elettorale anticipata. Parlo della rilevanza inedita che viene attribuita a temi che riguardano in qualche modo gli ebrei, Israele e l’antisemitismo. La questione di fondo su cui vorrei attirare l’attenzione è la distorsione, connessa alla disinformazione. Prendiamo qualche esempio: la Shoah è stata considerata in qualche misura un tema di centro-sinistra da un candidato poi escluso dalle liste di FdI. Costui suggeriva in un post su Facebook una ipotetica programmazione televisiva a fini elettorali contro la destra con la trasmissione di alcuni fra i più importanti film sulla Shoah. Un episodio di per sé insignificante, che tuttavia è espressione di una cultura politica molto diffusa e oggi sorprendentemente utilizzata in un confronto elettorale. La replica difensiva del soggetto in questione, infatti, è stata se possibile ancora più sbagliata: ha sostenuto di non essere stato compreso, mentre lui da anni si adopera sia per la celebrazione del Giorno della Memoria della Shoah, sia per quelle del Ricordo delle Foibe. Quindi Shoah “di sinistra” e Foibe “di destra”? Si tratta di un pensiero molto diffuso, storicamente inqualificabile e facilmente confutabile, che tuttavia diventa utile nel momento in cui si cercano consensi, o – come in questo caso – like su Facebook. Sul versante opposto, i segugi si sono scatenati nel testare la “verginità” di certi candidati di sinistra sulla questione mediorientale. Sono stati così rintracciati imbarazzanti post anti-israeliani che hanno anche in questo caso fatto cadere candidature e inserimenti nelle liste del Pd. Ritorna in questo caso con forza il tema dell’antisionismo associato all’antisemitismo, suscitando un cavallo di battaglia della destra che ormai è stato assunto ipso facto anche a sinistra come lavacro valido per ogni stagione: “Noi non siamo antisemiti, siamo amici di Israele e ne difenderemo sempre le ragioni”. Il problema è che anche in questo caso siamo di fronte a tesi impresentabili, sebbene abbiano un loro valore funzionale e strumentale nella semplificazione legata alle campagne elettorali. Perché i casi sono due: o i leader delle formazioni politiche (tutti) sono completamente ciechi e non conoscono per nulla la natura dei loro sostenitori, oppure sono (tutti) piuttosto ambigui per non dire di peggio sul tema dell’antisemitismo, declinato o meno in chiave anti-israeliana. Non posso credere che a destra non si sappia della presenza rilevante di linguaggi antisemiti fra i loro seguaci (lo dicono tutti i sondaggi, non limitati all’Italia), e non posso altresì credere che a sinistra dopo la nota esperienza che ha coinvolto i laburisti in Inghilterra non si sia ancora avviato un serio lavoro culturale che riguarderà certamente nello specifico l’interpretazione del concetto di sionismo, ma che temo debba occuparsi anche di altri aspetti connessi a ben più radicate forme di pregiudizio. Esiste poi la questione della polemica (diffusa in ogni ambito politico) sulla presunta azione di oscure lobby finanziarie coalizzate per colpire nello specifico i nostri interessi nazionali. Un recente episodio in questo senso ha coinvolto un senatore pentastellato, peraltro andato assolto in sede giudiziaria con una preoccupante sentenza che riconosceva l’impresentabilità delle sue tesi complottistiche (citava come interessanti e veritieri i Protocolli dei Savi di Sion), ma riteneva legittime le sue espressioni nel nome della libertà di parola concessa a un parlamentare nell’esercizio della sua carica. Il complottismo, l’idea di cospirazione, è alla base di tutti i populismi, e la sua matrice antisemita emerge con forza sempre, in ogni contesto.
Ebrei, Shoah, Israele, antisemitismo sono diventati parte dello strumentario elettorale. Si tratta di un fatto di cui dobbiamo tener conto. Secondo me è un male. Non perché non si tratti di temi rilevanti (anzi), ma perché il loro utilizzo, mi sembra, è per lo più connesso a visioni stereotipe che non aiutano a comprendere nel profondo situazioni articolate e non riducibili a una realtà in bianco e nero. La Shoah, il conflitto mediorientale, l’antisemitismo, sono questioni di grande complessità che non si prestano a semplificazioni se non con intenti strumentali. Mentre sarebbe a mio parere interessante che gli ebrei fossero in qualche modo considerati soggetto importante nell’affrontare temi che riguardano il futuro della nostra società: la libertà religiosa e di insegnamento, i processi di integrazione, le politiche sull’immigrazione, i diritti delle minoranze, la sicurezza. Questi sono i temi su cui, penso, l’esperienza storica ebraica in Italia potrebbe offrire spunti di riflessione. Ma si preferiscono altre strade, almeno per ora.

Gadi Luzzatto Voghera, Direttore Fondazione CDEC

(26 agosto 2022)