Mark Spitz e i sette ori di Monaco,
il campione torna nei suoi luoghi

Prima della strage di Settembre Nero i Giochi di Monaco erano stati soprattutto i Giochi di Mark Spitz e delle sue sette medaglie d’oro. Un record entrato nella storia e rimasto imbattuto per la bellezza di 36 anni. Sette titoli e altrettanti record mondiali: un marziano nella vasca olimpica. Esuberante e icona pop della sua generazione. Giovanissimo, appena 22 anni, eppure già appagato. Tanto da annunciare, a Giochi finiti, il suo ritiro. Con queste parole: “Ho 22 anni e ne ho passati 14 in una vasca. Sono l’uomo più veloce del mondo in acqua. Cosa posso fare di più?”.
Le sue imprese rivivono nel documentario Becoming An Olympic Legend, diffuso in queste ore dal canale ufficiale olimpico. Una lunga e dettagliata intervista, ma soprattutto un toccante ritorno: mezzo secolo dopo, infatti, lo ritroviamo in una Monaco ancora impregnata del suo mito. Uno Spitz non più goliardico come in gioventù ma riflessivo e visibilmente emozionato nel ripercorrere quelle gesta. “Questa era la mia corsia”, “Qui c’era il podio”, “Qui la banda intonava l’inno nazionale” racconta il campione, ancora in splendida forma. Una fame incessante di vittorie. Un bisogno, quasi esistenziale, di primeggiare in ogni disciplina. Spitz racconta come è diventato il più grande di tutti e quanto la famiglia l’abbia spinto verso quel traguardo. Ma confessa anche di avere qualche rimpianto: “Non essermi goduto il momento, non essermi preso del tempo per gioire di quel che stava accadendo. Diventare spettatore del mio stesso spettacolo: un lusso che non mi sono potuto permettere”. Senza rigida disciplina, fa capire, i sette ori non sarebbero mai arrivati.
Una gioia comunque offuscata dal dramma che si sarebbe compiuto nelle ore successive, toccando indirettamente lo stesso Spitz. Ritenuto un possibile obiettivo anche per via di una identità ebraica fieramente esibita, alle Maccabiadi come in altri contesti, fu prelevato a notte fonda dai servizi e trasferito seduta stante negli Usa.