Colpi bassi

Ormai è un must. Nei giorni caldi di questa campagna elettorale d’agosto ogni mattina sei portato a chiederti: cosa accadrà oggi? Quale polemica feroce si inventeranno i nostri leader contrapposti per tenere alta la tensione contro il “nemico”? Quale triste vicenda nazionale verrà scelta per essere strumentalizzata dalle due parti e verrà lanciata sui social a mo’ di clava o di altro corpo contundente come arma propagandistica per esporre la parte avversa al pubblico ludibrio? La campagna elettorale sfugge ormai ad ogni regola di civile contesa democratica; è diventata una guerra, anzi una lotta senza esclusione di colpi che non può prescindere dalle bordate sotto la cintura, per parlare in linguaggio pugilistico.
Questo clima è sotto gli occhi di tutti, e non è necessario ricordarne i singoli episodi ogni volta nuovi, capaci di gettare nel gran calderone elettorale le situazioni femminili più terribili come l’essere vittima di uno stupro e di offrire in pasto al disprezzo di massa le condizioni umane più emarginate senza alcuna analisi e distinzione. È obbrobrioso, anzi inquietante pensando al suo ingombrante padre putativo chiamato fascismo, che la destra xenofoba e tendenzialmente razzista, violando privacy e diritti, usi la sofferenza e quelle che definisce “devianze” per indurre discredito generalizzato verso gli immigrati e i “diversi” in genere, o per agognare mondi di presunta “purezza” e “normalità” raggiunti a scapito della nostra libertà. Bene fa dunque il leader del PD a stigmatizzare questo sfruttamento del dolore intimo e questo becero sparare nel mucchio. Il problema però sta nel fatto che, catturato dal gorgo dell’accesa competizione politica fine a se stessa, anche lui coglie la palla al balzo per trasformare la sua critica puntuale in accusa indiscriminata (e anche criminalizzante) di tutta la parte avversa, evocando a bella posta i fantasmi neri del passato. E tutto ciò per puri scopi elettorali, con l’effetto di cadere quindi come la sua oppositrice nel meccanismo di sfruttamento propagandistico della violenza. Insomma, nessuno o quasi si salva dallo “spirto guerrier” pronto a usare qualsiasi arma, lecita o meno, per annientare il nemico. Ma perché ciò avviene?
Mi pare che si tratti dell’ennesimo effetto negativo della ormai perduta capacità di costruire, particolarmente in collaborazione, e della centuplicata capacità di distruggere, soprattutto nei rapporti umani. In fondo, quello a cui assistiamo quotidianamente negli scambi di accuse tra le dirigenze dei partiti durante l’attuale campagna elettorale non è che un distillato pseudo-politico di tutto il marciume d’odio che gira in rete da vari anni a questa parte; un modo di porsi e di demonizzare l’avversario di cui non possiamo o non sappiamo più fare a meno. L’appartenente all’altra fazione non è più solo uno come me ma con idee diverse dalle mie; è un soggetto negativo a priori che va comunque distrutto. E ciò perché non gli si contrappongono più idee (merce molto rara, oggidì) alle quali risponderebbe con altre idee differenti, bensì modi di essere prestabiliti e per auto-definizione perfetti nei quali certo non può identificarsi, pronto a sua volta a rispondere con analoghi opposti modelli.
Credo che non solo per i nostri politici, ma anche per tutti noi uomini del ventunesimo secolo consumati dall’abuso narcisistico e solipsistico dei moderni media (volto all’autoesaltazione e sovente al disprezzo dell’interlocutore), sarebbe fondamentale tornare in parte allo spirito dell’antico dialogo socratico, davvero diretto alla conoscenza dell’altro e con lui di se stessi; in parte all’atteggiamento e alla pratica del pilpul talmudico, capace di affrontare con rispetto dell’altro e con piglio risolutivo le diverse visioni della realtà.

David Sorani