L’addio a Michail Gorbaciov
Con le decisioni politiche contribuì alla fine della Guerra Fredda e alla dissoluzione dell’Unione Sovietica. A 91 anni è morto a Mosca Michail Gorbaciov, ex presidente dell’Urss e Premio Nobel per la pace nel 1990. “Un eroe tragico, un gigante senza pace, il comunista che cercando di salvarlo seppellì il comunismo, il patriota che con le migliori intenzioni preparò la fossa al primo Stato socialista della Storia”, la descrizione che ne dà Paolo Valentino sul Corriere. “L’uomo che cambiò la Storia”, la sintesi invece di Ezio Mauro su Repubblica, che lo ricorda come il politico della perestrojka, della ricostruzione. Una ricostruzione che non riuscì fino in fondo e per questo, scrive Mauro, “due Gorbaciov camminano ormai per le strade del 1991: fuori dalla Russia Mikhail Sergheevic è il primo riformatore di un sistema costruito col ferro e col fuoco per durare per sempre. In patria è l’ultimo Segretario Generale, capo di una nomenklatura odiata e subita alla quale si brinda in silenzio nelle case a Capodanno, augurandosene la morte”. A fine ’91, segnato dal tentato golpe (sarà sequestrato da comunisti conservatori per tre giorni) e ormai impopolare per le sue riforme troppo lente e prudenti, getterà la spugna, lasciando la politica. Su La Stampa Anna Zafesova traccia un parallelo tra alcune sue svolte e il presente: “Aveva liberato dal Gulag i dissidenti. Aveva dato la libertà di parlare e creare agli intellettuali. Aveva fatto finire la guerra fredda, firmando con un presidente americano anticomunista come Ronald Reagan accordi sul disarmo nucleare che oggi sembrano appartenere a un mondo che abbiamo soltanto sognato”. Per Zafesova la guerra scatenata sei mesi fa da Putin contro l’Ucraina rappresenta il tradimento del “sogno di pace di Gorbaciov”. Sempre su La Stampa, Elena Loewenthal scrive: “Se, come ha detto il grande scrittore israeliano Amos Oz, per cambiare il mondo bisogna diventare – o essere – dei traditori, allora Michail Gorbaciov lo è stato più di tutti, nel corso almeno degli ultimi ottant’anni”.
Riconquistare Kherson. Continua la controffensiva ucraina per riconquistare Kherson l’unico capoluogo regionale a ovest del fiume Dnipro, occupato dai russi sin dai primi di marzo. Tre gli obiettivi di Kiev in questa complessa operazione, scrive l’inviato del Corriere Lorenzo Cremonesi. Il primo, bloccare il referendum programmato da Putin per l’11 settembre per “dare una patina di legittimità alla ‘russificazione’ di territori occupati”. Il secondo, cercare di accelerare i tempi del ritiro russo e arrivare a un cessate il fuoco da posizioni di vantaggio. Terzo obiettivo, dare un segnale alle popolazioni ucraine delle zone occupate che non sono state dimenticate.
Una combattente italiana tra le file ucraine. Unica italiana tra i volontari stranieri in Ucraina, Giulia Schiff si è arruolata nelle fila di Masada, squadra che si occupa di operazioni speciali. Schiff, che in Italia era stata espulsa dall’aeronautica dopo aver denunciato un caso di nonnismo, racconta al Corriere la sua scelta. I russi, afferma, “accusano gli ucraini di essere nazisti, ma i nazisti sono loro. Hanno commesso migliaia di crimini di guerra e sterminano e deportano i civili. Nessuno lo dice che anche il battaglione d’Azov contava numerosi ebrei tra i difensori di Mariupol all’Azovstal. Per me non ci sono giustificazioni: bisogna reagire di fronte a questa aggressione”, le sue parole. Nella squadra Masada racconta inoltre “di aver trovato l’amore”. “È un ragazzo metà ucraino e metà israeliano. Combattiamo nella stessa brigata. Ha 29 anni, è il miglior soldato che abbia incontrato e anche il miglior uomo. Siamo compagni anche sul campo e ci guardiamo le spalle l’un l’altro”.
L’ambasciata italiana a Gerusalemme. Diversi quotidiani riportano oggi alcuni passaggi di un’intervista rilasciata al quotidiano free press israeliano Israel Hayom dal leader della Lega Matteo Salvini. In particolare, scrive La Stampa, “il leader della Lega si è impegnato, in caso di vittoria, a riconoscere Gerusalemme capitale di Israele”. A riguardo il Fatto Quotidiano segnala però come la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, in una recente intervista a Reuters abbia escluso questa possibilità. Nell’intervista con Israel Hayom Salvini ha poi puntato il dito contro il Pd perché “alcuni suoi candidati hanno scritto insulti vergognosi contro Israele”. Parole a cui ha replicato il candidato Pd Piero Fassino, definendo le accuse “penosa propaganda” e dichiarando che Salvini deve spiegare all’opinione pubblica israeliana perché si è alleato con “un partito che per anni ha coltivato apertamente nostalgia del fascismo e tuttora nelle sue fila sono non pochi coloro che esaltano un passato tragico”.
Pregiudizi. Intanto però un nuovo vergognoso caso di pregiudizi contro Israele emerge tra le fila del Pd e di cui parla oggi Libero. Si tratta del candidato all’uninominale in Sardegna Michele Piras, di cui è tornato a circolare un video di una lunga intervista rilasciata su YouTube al gruppo “Giovani palestinesi d’Italia” nel 2020. In un passaggio Piras dichiara senza vergogna quanto segue: “Millenni di esistenza della comunità ebraica in Europa hanno prodotto una contaminazione molto importante, precisamente di disvalori, come quelli appunto del razzismo, della supremazia bianca, o insomma di un modo oppressivo di imporre i propri valori, di costruire società chiuse”. Ovvero, come spiega il sito Open, Piras propugna una becera quanto pericolosa teoria secondo cui le comunità ebraiche europee avrebbero interiorizzato i disvalori di nazismo e fascismo e gli avrebbero riproposti nella costruzione dello Stato di Israele.
Monaco ’72, cinquant’anni di errori. “I tragici eventi che portarono all’uccisione di 11 atleti israeliani da parte dei terroristi dell’Olp alle Olimpiadi di Monaco, nel 1972, furono aggravati dalla burocrazia, dall’incompetenza e dal cinismo tedeschi. 50 anni dopo, le famiglie sentono di dover affrontare la stessa rigidità”. Lo scrive su Repubblica la firma di Haaretz Yossi Melman in un lungo articolo che ricostruisce gli errori della Germania rispetto alla strage di Monaco ’72. Nel pezzo si ricorda come le famiglie delle vittime siano in aperto scontro con Berlino. “Dopo cinquant’anni di bugie, insabbiamenti, sofferenze e umiliazioni da parte della Germania, ne abbiamo abbastanza”, le parole di Ankie Spitzer, moglie di una delle vittime, a Melman. In queste settimane, in attesa della cerimonia per i cinquant’anni dall’attentato, la diplomazia tedesca sta cercando una strada per la riconciliazione.
Lévy contro la destra italiana. Su Repubblica il filosofo francese Bernard-Henri Lévy attacca sia Meloni e Salvini sui temi del fascismo e dei legami con la Russia di Putin.
Daniel Reichel