Machshevet Israel
In dialogo con la Luna

Il programma Artemis I, momentaneamente rinviato, ossia il grande progetto scientifico e internazionale di tornare sulla luna/Luna (maiuscola o no?) suggerisce qualche annotazione ebraica sul nostro satellite naturale, che tanta poesia, letteratura e anche pensiero ha ispirato nel corso dei secoli: come non ricordare il Sidereus Nuncius di Galilei, che per primo ha ‘rivelato’ al mondo il volto della luna? Come non citare Alla Luna, di Leopardi, o il suo venditore di lunari nuovi? Chi non è rimasto suggestionato dalla novella di Pirandello, che ne porta il nome? Ma prima di loro già i maestri del Talmud avevano immaginato e narrato un fascinoso dialogo tra Il Santo Benedetto e la Luna intesa come ‘il piccolo luminare’, piccolo rispetto al sole, a commento di Bereshit/Gn 1,16. Quel dialogo si trova nel Talmud Bavli, trattato Chullin 60b, nel contesto di una riflessione precedente tra grande e piccolo, ad esempio tra il bue e l’asino, due animali entrambi importanti nella vita agricola dell’antico popolo d’Israele.
Letterariamente tale dialogo è un mashal o una parabola esemplare, che viene messa sulla bocca di Rabbi Shim‘on ben Pazi (un amoraita di III generazione in eretz Israel), come un tentativo di sciogliere un’apparente contraddizione: perché quel versetto biblico prima chiama sole e luna i ‘due grandi luminari’ ma poi li qualifica come ‘grande’ (il sole) e piccolo’ (la luna)? Ovviamente la storia non vuol dare alcuna risposta o spiegazione scientifica nel senso moderno del termine. Mira invece a un insegnamento tecnico, quasi halakhico: primo, qual è la funzione o l’utilità della luna in generale nell’ordine cosmico e in particolare nella vita religiosa di Israele? Secondo, ne possiamo ricavare anche un insegnamento morale, del tipo: meglio l’umiltà che l’arroganza? In un importante contributo offerto a Roma ai Colloqui Castelli nei anni Ottanta, il filosofo Emmanuel Levinas aveva ripreso quella pagina talmudica per una riflessione ebraica al concetto cristiano di kenosis, che invece di ‘annullamento divino’ andrebbe compreso appunto come ‘umiltà di D-o’ o ‘D-o che si abbassa verso chi soffre’, immagine assai diffusa in tutto il Tanakh (cfr. TB, Meghillà 31a). Proprio Levinas sottolinea la terza, più audace interpretazione del mashal: servirebbe a spiegare i sacrifici nel Tempio per la ‘luna nuova’ prescritti dalla Torà in Bemidbar/Nm 28,15.
Finalità a parte, il dialogo è di per sé illuminante (trattandosi di due luminari!): dei due, la luna è l’unica che osa interrogare il Creatore. Già, è forse umiltà non prendere mai iniziativa o non fare domande? Umiltà non fa rima con pigrizia o mancanza di coraggio. Essa chiede anzitutto: come possono esserci due ‘sovrani in cielo’, due corone? Un cosmo ordinato esige una gerarchia o, se si vuole, chiare responsabilità. Il Santo Benedetto si dice d’accordo, e pertanto la rimpicciolisce! Perché? La luna ha fatto una domanda sbagliata o impertinente? Il senso di quel rimpicciolimento – ecco il senso ebraico di kenosis, ancor meglio espresso dal termine qabbalistico tzimtzum – viene allora spiegato sottolineando l’importanza della luna per la vita di Israele e dei capimese, che scandiscono l’anno liturgico… La luna ribatte: forse che il sole è meno importante nel ciclo dell’anno, ad esempio con il ritmo delle stagioni? Il dialogo è tutto un dentro e fuori questa dialettica tipicamente rabbinica, e costitutiva del mondo, tra universale (il sole) e particolare (la luna), tra diurno e notturno, tra i goyim o le nazioni e il popolo d’Israele.
Alla fine, Il Santo Benedetto sembra dar ragione alle ragioni avanzate dalla luna su tutti i fronti, sebbene la luna rimanga ‘insoddisfatta’ delle spiegazioni divine; ecco allora che il Creatore chiede a Israele di fare un sacrificio espiatorio nel Tempio, ad ogni neomenia, per farsi perdonare quell’atto di rimpicciolimento del secondo grande luminare. Audacia rabbinica, commenta Levinas. In materia di grandezza e umiltà, nel mondo, resta molta ambiguità, “ed ecco, l’umiltà di D-o che si assume la responsabilità di tale ambiguità” (cfr. Levinas, Nell’ora delle nazioni. Letture talmudiche, Jaca Book, pag. 135). Riflettendo a sua volta sul sole e la luna, intesi filosoficamente come l’identico e il nuovo, così scrive il rabbino e amico Roberto Della Rocca nel suo libro intitolato Con lo sguardo alla luna: “Nella doppia struttura solare e lunare, tra il sole immobile che sembra agli uomini girare incessantemente sulla stessa orbita e la luna che invece cresce e cala ogni mese, rinnovandosi, la prospettiva ebraica è orientata maggiormente verso quest’ultima. Il Sinedrio si occupò di determinare il giorno del capomese verificando le testimonianze di osservatori addetti all’apparizione della luna nuova; questa complessa procedura fu raccolta nei trattati talmudici Rosh hashanà e Sanhedrin e restò in vigore fino alle metà del IV secolo dell’era volgare, quando furono stabilite altre regole, tuttora in vigore, per calcolare matematicamente il novilunio” (p.43). Il rinnovamento è il tema dell’imminente XXIII edizione della Giornata europea della cultura ebraica. Che qualcuno si ricordi di quel dialogo teo-astrologico, che ci sprona a continuare a guardare alla luna e a studiare il Talmud, specie ora che sta circolando anche in italiano.

Massimo Giuliani, università di Trento