Le insidie del rinnovamento
Il tema del rinnovamento è molto presente nella cultura e nella tradizione ebraica ma spesso con aspetti contraddittori. Nella preghiera del mattino benediciamo, con una formula molto antica, il Signore che crea la luce e le tenebre, che illumina la terra e coloro che la abitano, che “rinnova [con] la sua bontà ogni giorno l’opera della creazione”. La creazione si rinnova ogni giorno per mano divina. Ma che vuol dire? Sono due le possibili risposte: che vi sia una novità, una nuova creazione quotidiana, o che vi sia la garanzia che la creazione originaria non venga mai meno, che il sole sorga ogni giorno, grazie alla costante vigilanza divina. Il rinnovamento c’è sempre, ma non è chiaro se sia novità o resistenza al logorio. La radice ebraica che indica il rinnovare, chet-dalet-shin, è la stessa da cui derivano le parole chadàsh, “nuovo”, chiddùsh, “innovazione”, “novità” e chòdesh, “mese”. Il mese ebraico è lunare e la novità, sottolineata dal nome, sta nel fatto che la luna dopo essere scomparsa si rinnova. Anche nel linguaggio corrente si dice “luna nuova”. Ma attenzione: la luna quando ricompare ripete con il suo ciclo quello che era prima. Non è la comparsa di qualcosa di differente ma la ricomparsa di qualche cosa che si presumeva scomparso, e che torna a essere come era prima. Il popolo di Israele si identifica per molti aspetti con la luna. Uno di questi aspetti è il fatto che, dopo che si presume che sia scomparso sotto i colpi della storia, ricompare, torna a vivere. Il rinnovamento diventa una resurrezione, ma nella resurrezione non c’è un nuovo essere ma una nuova vita per lo stesso essere. Alla fine del libro biblico delle Lamentazioni (per la distruzione di Gerusalemme) il penultimo versetto dice: “Facci tornare o Signore a Te e torneremo, rinnova i nostri giorni come prima.” Ossimoro fantastico: rinnova/come prima. Il chiddùsh, la “novità”, è un requisito essenziale in una attività che a sua volta è essenziale nella cultura ebraica, lo studio della Torà. Non c’è studio valido se non c’è chiddùsh, se non si scopre un significato nuovo nel testo antico. Se non ci si riesce vuol dire che non abbiamo studiato abbastanza e che non abbiamo esercitato il necessario spirito critico e creativo. Ma anche qui si noti che la novità non è assoluta, è legata al testo classico che assume grazie al chiddùsh nuove vite e nuovi significati.
L’ambiguità del concetto di rinnovamento emerge in un famoso detto, che è un gioco di parole, attribuito al Chatam Sofer (Moshe Schreiber, 1769-1832), strenuo oppositore della riforma ai suoi inizi. La Torà (Lev. 23:14), in una delle sue regole agricole, stabilisce che il prodotto cereale nuovo (chadàsh) di ogni anno sia proibito al consumo prima che ne sia presentata un’offerta al Tempio il secondo giorno della festa di Pèsach. Fino a quel momento “il nuovo è proibito”. Di qui il gioco di parole: “il nuovo è proibito dalla Torà”. In realtà lo slogan è anch’esso ambiguo perché dal secondo giorno il nuovo è permesso … ma tutto questo la dice lunga sul rapporto contraddittorio con il concetto di nuovo.
Non a caso oggi vari movimenti riformisti si intitolano con questa parola, prendendo espressioni e citazioni bibliche: shir (canto) chadàsh, al femminile shirà chadashà, lev (cuore) chadàsh ecc.; chi ha un minimo di fiuto capisce dal nome di che si tratta e si regola di conseguenza. Tutto questo ha precedenti antichi e illustri: la “nuova alleanza” annunciata dal profeta Geremia (31:30) è stata intesa dalla tradizione cristiana come annuncio di una novità che l’ebraismo non ha accettato. Nuova alleanza, o Nuovo Testamento (che in latino significa allleanza), è il nome che i cristiani danno ai loro testi sacri canonici.
Dunque attenzione al nuovo e al rinnovamento. Eppure il nuovo va salutato ed esiste anche una importante frase rituale, una benedizione, che lo saluta e lo consacra: indossando un abito nuovo, o comprando un oggetto nuovo o solo mangiando un frutto stagionale per la prima volta su deve dire: “Benedetto sia Colui che ci ha fatto vivere e mantenuto e fatti arrivare a questo tempo”. Il rinnovamento è una benedizione.
Rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma
Articolo tratto dal sito www.ucei.it/giornatadellacultura