Un vero rinnovamento
L’espressione della Mishnà (‘Orlà 3: 9) “Hadàsh assùr min hatorà bekhòl makòm” – Il prodotto nuovo è proibito dalla Torà in ogni luogo (cioè: non si può usare prima della presentazione dell’Omer al Tempio) – è stato usato come slogan dal Chatàm Sofèr (1762–1839), per indicare che la tradizione non poteva essere modificata in nessuna sua parte: questo non solo per le mizvoth della Torà, ma anche per gli usi nati nei secoli successivi alla codificazione basata sul Talmud. La reazione del Chatàm Sofèr fu chiaramente dovuta alle modifiche generate dalla diffusione del Movimento della Riforma: questo atteggiamento sfociò quindi in un rifiuto aprioristico di qualsiasi cambiamento anche quando sarebbe stato necessario. Si pensi per esempio alla norma ebraica che richiede la sepoltura nello stesso giorno della morte che in molti paesi europei era stata proibita, specie per i casi di morte improvvisa: il rav Yehezkel Landa di Parga (il Nodà’ Biyudà: una delle maggiori autorità alakhiche del tempo) era orientato a rispondere positivamente alla richiesta di rinviare la sepoltura richiesta dalle autorità, ma incontrò l’opposizione di molti rabbini (il problema fu avvertito in Italia e se ne occuparono il Chidà a Livorno e Rabbi Shmuel Hakohen di Modena).
Ma qual è il senso da dare alla parola hadàsh (il nuovo)? La radice hadàsh si trova nella prima mizvà ricevuta dal popolo d’Israele: “Questo hòdesh sarà per voi il capo dei mesi” (Esodo 12, 2) regola che implica le modalità per stabilire il Capomese (Rosh hòdesh) che coincide con la luna nuova. Secondo i Maestri, mostrando a Mosè la luna nuova, Dio avrebbe detto “kazè reè vekaddesh”, cioè quando vedrai la Luna in questa posizione dichiarerai l’inizio del mese.La prima mizvà ricevuta dal popolo ebraico sembra essere una mizvà tecnica (come stabilire l’inizio del mese e il calendario), ma che svolge la funzione di tenere unito Israele disperso tra i popoli e ha un significato simbolico, perché Israele è paragonato alla Luna proprio per la sua caratteristica a modificare il suo modo di apparire nel corso del proprio ciclo.
La capacità di cambiare e rinnovarsi è quindi insita nel dna nell’identità del popolo ebraico: il pericolo è che il rinnovamento possa essere interpretato come abbandono della propria cultura per assumerne un’altra, senza avere prima assorbito pienamente la propria. In realtà, questo rischio è stato scongiurato dalla tendenza a interpretare i testi della tradizione, rinnovandone via via i significati. Posizioni anche opposte possono convivere, ma solo se sono basate sulla riflessione dei testi allo scopo di capire in che modo possono essere applicati in una realtà in continuo cambiamento.
Una suggestione su come la radice chadash viene interpretata nel pensiero ebraico possiamo individuare nel modo in cui i filosofi medievali chiamano la creazione del mondo: hiddush ha’olàm, rinnovamento dello spazio – tempo (‘olàm è spazio, ma anche tempo).
Questa definizione implica l’idea che bisogna anche avere il coraggio di avviare cambiamenti radicali che però devono porsi nella linea di una tradizione capace di accogliere posizione anche diverse e a volte contrapposte. Questa idea è bene espressa dall’affermazione del Talmud, quando riporta le posizioni contrapposte espresse da Beth Hillel e Beth Shammai: “le une e le altre sono parole del Dio vivente”.
Accanto alla formazione che lo prepari a svolgere la propria professione, ognuno deve dedicare molto tempo ad approfondire continuamente la propria formazione ebraica: il primo vero rinnovamento di cui ha bisogno l’ebraismo italiano è proprio quello di organizzare la formazione di persone che abbiano anche una cultura profondamente ebraica, anche quando si occupano della vita amministrativa e politica delle Comunità: non si può rispondere alle domande che impone la realtà che cambia senza una forte e radicata cultura ebraica: Torà, commenti, midrash, filosofia, halakhà ecc. devono fare parte del bagaglio sia degli uomini che delle donne.
La capacità di interpretare i testi ha permesso al midràsh di rappresentare posizioni anche opposte, ma che sono tuttavia espressione del pensiero ebraico, specie quando si tratta di domande essenziali sull’esistenza, come il rapporto con il prossimo. Il caso più noto è quello narrato in Bavà Metzià 62a: Due persone camminano assieme per una strada e una sola ha una borraccia d’acqua: se la bevono entrambi, sono destinati a morire, ma se la beve una sola, questa può arrivare all’abitato. Ben Peturì insegna: “la bevano entrambi e muoiano, ma l’uno non veda la morte del suo compagno”.. Finché venne Rabbi ‘Akivà che insegnò: “Il tuo fratello viva con te (Levitico 25, 36) – la tua vita ha la precedenza su quella del tuo compagno”. Achad ha’am (nei suoi saggi Al bivio) ritiene che Rabbi ‘Akivà esprima la posizione che l’ebraismo ha fatto propria, mentre Ben Peturì esprime quello che Achad ha’am definisce una forma di “egoismo al contrario”. Il pensiero di Rabbì Akivà ha permesso la costruzione di una società, il superamento di molti ostacoli, la creazione dello Stato d’Israele e molte altre cose ancora: tuttavia anche la posizione di Ben Peturì fa parte del nucleo profondo della tradizione ebraica e per questo viene citata.
Ecco alcuni esempi di storie che possono essere interpretate in contrasto con la precedente, e che rappresentano dilemmi esistenziali fondamentali:
a) Un uomo va da Ravà e gli chiede: cosa devo fare se il capo della città chiede di uccidere una persona, perché altrimenti sarà lui ad essere ucciso. Ravà rispose: “è preferibile essere ucciso, piuttosto che uccidere, perché chi dice che il tuo sangue è più rosso del suo”.
b) “A un gruppo di ebrei viene chiesto di consegnare uno dei propri membri perché venga ucciso, perché altrimenti uccideranno tutto il gruppo… la Halakhà risponde: vengano uccisi tutti, ma non consegnino una persona del gruppo” (Maimonide, Yesodè hatorà, 5 e Pèsachim 25b).
Quindi vediamo che la tradizione può dare risposte in apparente contrasto l’una con le altre e vale il principio che tutte le posizioni basate sull’interpretazione dei testi hanno “cittadinanza”, ma ciò che va salvaguardato è l’unità di azione.
Per queste scelte, come per altre, è necessario avere visione, cioè intuire cosa è necessario per costruire il futuro. Il caso più istruttivo è la risposta che Rabbì Yochannàn ben Zakkày disse a Vespasiano che guidava le truppe romane. Uscito da Gerusalemme in una bara durante l’assedio arrivato davanti al generale gli dette la notizia che sarebbe diventato Re, e alla domanda cosa voleva per la buona notizia che gli aveva dato, rispose: “Yavnè e i suoi maestri” e non il Santuario. Così facendo scelse la conservazione della Torà e il suo studio, cosa che ha di fatto garantito il futuro del popolo ebraico: una scelta coraggiosa, ma che è stata vincente. Di fatto solo la capacità di reinventare e attualizzare il testo, attraverso l’interpretazione, ha permesso all’ebraismo di mantenersi vivo e di non congelarsi. Molte sono le questioni sulle quali la tradizione e l’interpretazione sono chiamate a confrontarsi. Vediamone alcune alle quali dobbiamo rivolgere la nostra capacità interpretativa:
Le misure per una più equa distribuzione delle risorse; una rilettura della storia ebraica per capire perché “Mosè accettò di fare uscire dall’Egitto assieme al popolo ebraico anche “erev rav” una moltitudine di non ebrei”, mentre al ritorno di Israele dalla Babilonia Ezrà separò le mogli non ebree dai mariti ebrei;
come creare un rapporto costruttivo tra “Babilonia “(Diaspora) e “Gerusalemme” (Israele); come rispondere al decremento demografico delle comunità e incrementare l’endogamia; qual è la risposta alle richieste di conversione (in sostanza: l’ebraismo si è sempre opposto a ogni tipo di conversione?); come diffondere le idee del Noachismo e quale contributo possiamo dare alla società; come rispondere alla scoperta delle numerose persone che scoprono di discendere da famiglie ebraiche; come operare per contribuire all’educazione della società per combattere l’antisemitismo e il razzismo.
l’uso delle cure per una medicina più umana e rispettosa del diritto alla vita. Last but not least: soprattutto come formare una classe di Maestri e di Consiglieri che, prima di pensare al restauro delle mura delle Comunità, si occupino di restaurare l’anima delle persone che la compongono.
Rav Scialom Bahbout
Articolo tratto dal sito www.ucei.it/giornatadellacultura
(5 settembre 2022)