Parità di genere
La notizia della scomparsa della regina Elisabetta è di quelle che non lasciano indifferenti; sarà perché per me, come per chiunque abbia meno di settant’anni, c’era sempre stata; sarà perché la monarchia inglese ha un indubbio fascino alimentato da un millennio di letteratura e da un numero incalcolabile di libri, film, canzoni, drammi, opere, leggende, quadri, foto, documentari e molto altro; sarà perché avevo preso gusto a fare il tifo perché la durata del suo regno superasse quella di altri sovrani della storia decisamente meno simpatici di lei (fa piacere, per esempio, che abbia battuto i 66 anni di Ramses II, considerato da molti il faraone dell’Esodo, quindi il responsabile della nostra schiavitù in Egitto); sarà perché è consolante l’idea di un record al femminile in un contesto (il potere politico) in cui le donne nel corso della storia sono state assai poche.
Poche, ma non pochissime, però. La storia, il mito, le leggende, e anche il Tanakh ci parlano di donne regnanti persino in epoche remotissime. A volte regine vere e proprie, a volte reggenti dei propri figli, comunque certamente molto più vicine al potere di quanto nessuna donna avrebbe mai potuto sognare di essere nella democratica Atene o nella Roma repubblicana. In effetti è abbastanza sconcertante pensare a tutti gli uomini politici greci e romani che hanno frequentato regine straniere (da alleati, da nemici o anche da amanti) ma in patria non avrebbero mai permesso alle loro mogli, madri, figlie o sorelle di accedere a qualunque magistratura, anche minore, e neppure di parlare in pubblico, anzi, a volte neppure di mostrarsi in pubblico. E anche nelle repubbliche moderne le donne sono arrivate al potere molto tardi (o mai, come per esempio in Italia), mentre nelle monarchie le regine abbondavano. Se l’Egitto al tempo di Cesare e Augusto fosse stato una repubblica non ci sarebbe stata nessuna Cleopatra, se il Regno Unito fosse stato una repubblica non ci sarebbe stata nessuna Elisabetta I e Vittoria (e molto probabilmente Elisabetta II). In effetti è un pensiero inquietante: le donne hanno più probabilità di accedere al potere non nei luoghi in cui i cittadini in teoria sono tutti uguali ma in quelli in cui una diseguaglianza basata sul sangue – il privilegio di appartenere a una dinastia regnante – compensa e supera la diseguaglianza di genere. Quindi le donne nella storia sono andate al potere molto più facilmente in nome di valori arcaici, di diseguaglianze stabilite per legge, che nel nome di valori come l’uguaglianza tra tutti i cittadini o la parità di genere.
Le vicende inglesi dell’ultima settimana offrono poi spazio per un’altra considerazione che personalmente trovo un po’ inquietante: stando a quanto si dichiara nei discorsi pubblici e nelle campagne elettorali la parità di genere sembrerebbe un valore che sta a cuore maggiormente ai movimenti e partiti progressisti, mentre i conservatori talvolta affermano esplicitamente che i ruoli sono e devono essere diversi; eppure nel Regno Unito ci sono state tre donne premier conservatrici e nessuna laburista; qualcosa di analogo si può dire per la Germania (e magari tra poche settimane per l’Italia). Perché la parità di genere fa così fatica a essere perseguita realmente proprio da chi in teoria si dichiara un suo sostenitore più accanito?
Anna Segre
(9 settembre 2022)