Aliyah Bet, i luoghi del coraggio

A Boffalora Sopra Ticino, al confine tra Lombardia e Piemonte, tra il 1945 e il 1948 passò una parte della storia ebraica europea del dopoguerra. Qui, nella Villa “La Fagiana”, presso il Ponte del Ticino, fu istituito il Campo A per l’Aliyah Bet. Uno snodo fondamentale per la celebre operazione clandestina che portò nella Palestina mandataria migliaia di ebrei sopravvissuti alla Shoah e al secondo conflitto mondiale. Artefici della missione italiana furono Ada Ascarelli Sereni e Yehuda Arazi. Grazie alla loro collaborazione fu messa in piedi una rete che portava i profughi da realtà come il Campo A alle coste italiane. Da qui, in un triennio, partirono trentaquattro navi che portarono in salvo oltre 21mila sopravvissuti. Una storia di grande coraggio, abnegazione e solidarietà ricordata ora con una stele e una mostra a Boffalora Sopra Ticino. Un’iniziativa che ha coronato la ricerca portata avanti a Magenta tra il 2014 e il 2017, frutto della collaborazione tra l’amministrazione comunale, l’Anpi e il Comitato per la Salvaguardia di Sciesopoli Ebraica di Selvino. A presenziare all’inaugurazione della mostra, anche la nipote di Arazi, Orli Bach. Ringraziando i presenti, Bach ha sottolineato l’emozione di tornare nel luogo dove il nonno coordinò le operazioni per portare in salvo migliaia di scampati alle persecuzioni.
Tanti gli interventi che si sono susseguiti, tra cui, in rappresentanza dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, quello del vicepresidente Milo Hasbani, dell’assessore della Comunità ebraica di Milano Silvio Tedeschi, del presidente del Memoriale della Shoah di Milano Roberto Jarach e della presidente dell’Associazione Figli della Shoah Daniela Dana Tedeschi.
A dare un quadro storico del Campo A Boffalora-Magenta Marco Invernizzi, promotore della ricerca sul luogo, mentre l’iniziativa è stata coordinata da Elisabetta Bozzi, vicepresidente dell’Anpi Magenta.
Su Pagine Ebraiche Marco Cavallarin aveva ricordato il ruolo del Campo A, che fu anche deposito segreto di armi. “Che il campo di Magenta-Boffalora fosse il centro organizzativo della emigrazione illegale, e che vi si raccogliessero, si smontassero e imballassero le armi che molti ex combattenti partigiani fornirono all’Hagana, è cosa nota e ovvia. A Magenta come a Chieri e altrove. L’intera operazione era rischiosissima, e il futuro Israele lottava per il suo avvento coi denti e con le unghie. Lo scopo di quel campo era però di essere sede per il rapido passaggio di gruppi di profughi, inviati lì per l’addestramento al viaggio. A Magenta-Boffalora si spendono tutte le energie per organizzarli. I gruppi, formati a Magenta e a Tradate, si fermavano poco tempo, e partivano in mille per volta (lo dice ancora Aviva Maimon). E intorno alla bombardata Villa La Fagiana c’era attività di accoglienza e ospitalità, ricordata dai testimoni – scrive Cavallarin -. Anche bambini vi furono accolti. Un ragazzo vi poté trascorrere la sua prima estate di libertà non tanto (o non solo) preparandosi a salire in Palestina, ma anche – semplicemente – ritornando bambino”.