L’avanzata ucraina
La controffensiva ucraina continua a guadagnare terreno e in modo significativo, come raccontano le aperture dei principali quotidiani di oggi. E lo conferma anche la Russia, che ieri ha riconosciuto di aver perso quasi tutta la regione settentrionale di Kharkiv. “Mosca sbalordita ammette di aver perso la maggior parte di una provincia chiave”, il titolo di apertura anche del New York Times.
“La sorprendente ritirata da Kharkiv non è ancora una vittoria ucraina (un quinto del Paese resta in mano a Putin), – spiega il Corriere – ma Kiev sta dimostrando di saper vincere anche in campo aperto, non solo con manovre d’astuzia. Ed era dalla Seconda guerra mondiale che non si vedeva una disfatta così rapida d’interi reparti russi”. In questo quadro, aggiunge il quotidiano, Putin sembra essere sempre più isolato, con critiche mosse dall’interno alla strategia militare russa e le sanzioni che si fanno sentire. Secondo il direttore della Cia Bill Burns Putin “pagherà un prezzo molto alto per questo fallimento, non solo è stata smascherata la debolezza dell’esercito: ci saranno danni economici per generazioni”.
Elezioni in Svezia. In attesa delle elezioni italiane, c’è chi in Europa è già andato al voto: la Svezia, dove al momento, per un pugno di voti, è in vantaggio il centrodestra sul centrosinistra. Mancano ancora i voti postali e quelli dall’estero per cui tutto è ancora da definire. I quotidiani però si soffermano su un dato chiaro: il successo dell’estrema destra guidata da Jimmie Akesson, che ha raccolto circa il 20 per cento dei voti. La sua ascesa, scrive il Corriere, è segno di un malessere diffuso. A dispetto del nome, Democratici Svedesi, il partito di Akesson è nato nel 1988 dal gruppo neonazista Bevara Sverige Svenskt. Dopo essere rimasto ai margini per decenni, nel 2010 ha cominciato a “guadagnare terreno con slogan di sapore trumpiano come “la Svezia tornerà ad essere bella” – scrive il Corriere – e una campagna fondata sulla correlazione tra criminalità, migranti e sicurezza che ha fatto particolarmente presa in un paese attraversato da guerre mortali tra baby gang”. Secondo la scrittrice Elisabeth Asbrink, intervistata da La Stampa, la Svezia si aggrappa a un’immagine di paese del welfare perfetto che però era vero “30 anni fa e il risultato oggi sono le forze antidemocratiche”.
Riforme elettorali. Si continua a parlare sui quotidiani e non di possibili riforme del sistema elettorale italiano. Meloni propone come è noto il presidenzialismo in stile Usa. C’è anche chi ha rilanciato l’idea che ad essere votato direttamente sia il Presidente del Consiglio, ma, evidenzia il Corriere, è una strada da evitare: “È il sistema sperimentato nel 1992 da Israele, per arginare la frammentazione del voto. Fu un fiasco solenne, giacché moltiplicò i piccoli partiti; tanto che dopo tre legislature venne messo al macero. Evitiamo di macerarci a nostra volta”.
Sfide elettorali. Repubblica torna sul confronto nel collegio uninominale di Sesto San Giovanni che vede sfidarsi Emanuele Fiano del Pd e Isabella Rauti di Fratelli d’Italia. “Il figlio del deportato e la figlia del fascista, la sfida accende l’ex Stalingrado d’Italia”, titola il quotidiano.
Il pericolo nel Kurdistan. “Daesh è tornato. Rialza la testa a Sulaymaniyya. Riprende posizione nelle grotte e nei passaggi sotterranei dei monti Qarachok. Mette alla prova tutti i giorni, lungo il vecchio fronte del Settore 6, nei dintorni di Gwer, le capacità di resistenza del generale Sirwan Barzani. E tutto ciò senza che gli alleati dei curdi, europei o americani che siano, si rendano conto del pericolo. È ingratitudine? O la pessima abitudine, in democrazia, di gettare gli alleati dopo l’uso?”, scrive sulle pagine di Repubblica Bernard-Henri Lévy, lanciando un allarme sulla situazione del Kurdistan iracheno, dove le forze islamiste stanno recuperando terreno.
Sanzioni ai razzisti negli stadi. Mentre si attende che qualche sanzione arrivi per i responsabili dei cori antisemiti in alcuni stadi italiani, il Fatto Quotidiano con amaro sarcasmo evidenzia come in Francia non si sia perso tempo in un episodio simile, che peraltro coinvolgeva tifosi italiani a Parigi. “In Italia non è successo niente. – si legge – In Francia invece i tifosi juventini non hanno nemmeno fatto in tempo a veder finire la partita perché la Questura di Parigi ne ha arrestati quattro per ‘pubblica istigazione all’odio razziale allo stadio’: il tutto dopo aver semplicemente visionato il video, individuato i volti, fermato i responsabili”.
Cultura ebraica a Milano. In una breve sul Corriere Milano si presenta il programma della Comunità ebraica della città per la Giornata Europea della Cultura ebraica. “Durante gli incontri si parlerà di scenari internazionali, del presente e futuro di Israele, di antisemitismo e memoria, così come delle grandi questioni mondiali a partire da energia, clima e sostenibilità”. Tra gli ospiti, gli storici Benny Morris e Georges Bensoussan.
Al cinema. Al Festival di Toronto Steven Spielberg ha presentato il suo The Fabelmans, storia semi-autobiografica basata sull’infanzia del regista. Sammy, il protagonista, deve affrontare il divorzio dei genitori e allo stesso tempo scopre la sua passione per il cinema “In un film pieno di trovate visive, momenti comici (il fidanzamento con una ragazza innamorata di Gesù), e rivelazioni sul proprio rapporto con l’ebraismo («sono stato bullizzato al liceo da due ragazzi e volevo ricordarlo, anche se non è il tema principale del film»), – scrive La Stampa – forse uno dei momenti chiave della trasformazione psicologica di Sammy in artista è l’incontro col prozio Boris, che in un monologo folgorante gli ricorda cosa si debba essere disposti a fare per seguire la propria arte”.
Segnalibro. In occasione dei cento anni dalla marcia su Roma diversi saggi storici stanno uscendo in libreria con riflessioni e analisi sul fascismo. Tra queste, il Corriere presenta oggi il nuovo libro di una delle sue firme, Aldo Cazzullo che con Mondadori pubblica Mussolini il capobanda. Perché dovremmo vergognarci del fascismo. “Oggi in Italia ci sono gli estimatori di Mussolini: pochi, ma non pochissimi. Troppi. Poi ci sono gli antifascisti convinti: molti, ma non moltissimi. E poi c’è la maggioranza. Che crede, o a cui piace credere, in una storia immaginaria, consolatoria, autoassolutoria. La storia più o meno è questa: fino al 1938 Benito Mussolini le aveva azzeccate tutte; e tutti gli italiani erano fascisti. – scrive Cazzullo -. Peccato solo la sbandata per Hitler, le leggi razziali, la guerra fatta per raccogliere ‘qualche migliaia di morti’ ed essere ammessi al tavolo della pace. Peccato, davvero. In realtà, non è andata così”.
Daniel Reichel