Dossier / Bosnia-Erzegovina
Minoranze e rappresentanza violata

Da anni l’ambasciatore Jakob Finci è in prima linea per ottenere una riforma della Costituzione della Bosnia-Erzegovina. Basata sull’accordo di pace di Dayton del 1995, la carta fondamentale riconosce bosniaci, croati e serbi come popoli costitutivi insieme ad “altri”. Chi si identifica come “altri” – è il caso di Finci, presidente della Comunità ebraica della Bosnia-Erzegovina – non può diventare membro della Presidenza o della Camera alta dell’Assemblea parlamentare del paese. “Pur avendo posto fine alla guerra, l’accordo di Dayton – spiega a Pagine Ebraiche – ha introdotto diverse misure di esclusione con l’idea di mantenere un fragile equilibrio tra i tre popoli costituenti croati, bosniaci e serbi. I termini dell’accordo prevedevano che solo i serbi (della Repubblica Srpska), i croati e i bosniaci (della Federazione) potessero essere eletti alla presidenza tripartita della Bosnia-Erzegovina, escludendo così la partecipazione di cittadini di qualsiasi altra etnia”.
Nel 2005, dopo che la Commissione elettorale bosniaca gli aveva impedito di candidarsi alla presidenza, Finci fece ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU). Anche Dervo Sejdić, membro della minoranza rom, seguì lo stesso iter. Quattro anni dopo la Corte, con la sentenza Sejdić-Finci, diede ragione ai ricorrenti, definendo alcune disposizioni della costituzione e della legge elettorale bosniaca come contrarie alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e discriminatorie nei confronti delle minoranze. “Sono passati tredici anni e stiamo ancora aspettando le modifiche necessarie”, sottolinea Finci. “I tre grandi gruppi etnici cercano di mantenere ogni posizione di potere per sé. Anzi, se possibile, lavorano per rafforzarsi ulteriormente”. È il caso dell’ultima riforma elettorale promossa dall’Ufficio dell’Alto Rappresentante un’istituzione sostenuta dall’UE creata dopo le guerre balcaniche degli anni ‘90 per supervisionare gli aspetti civili dell’attuazione dell’accordo di Dayton. “Questa proposta darebbe un significativo peso alla demografia locale nelle elezioni, conferendo ulteriori vantaggi ai partiti più grandi ed etnonazionalisti e danneggiando la possibilità di rappresentazione delle diciassette minoranze del paese”.
La questione ha creato un caso con Israele: in una nota la sua ambasciata di Tirana, competente per la Bosnia, si diceva a favore della riforma. Il governo centrale, contrario alla proposta sostenuta dai nazionalisti serbi e croati, ha criticato la nota, definendola una dannosa ingerenza. Una posizione sostenuta anche da Finci, che sottolinea come la proposta leda anche i diritti della comunità ebraica. Dal ministero degli Esteri di Gerusalemme è arrivata poi una reprimenda per la sua stessa ambasciata. Se sul piano della rappresentanza dunque ci sono ancora molti passi avanti da fare, il presidente della Comunità ebraica sottolinea come nella quotidianità non ci siano problemi di integrazione.
“Siamo assolutamente uguali a tutti gli altri. Del resto sorride – anche noi paghiamo il caro petrolio e il prezzo eccessivo del pane come tutti gli altri cittadini del mondo. Nessuno qui si preoccupa di sapere a quale gruppo etnico appartieni. Per strada non si riesce a distinguere chi è bosniaco, chi è serbo e chi è croato”. Per la comunità ebraica ci sono segnali positivi. “A Sarajevo siamo circa 6-700 persone, non di più. E molti giovani sono andati via dall’inizio della guerra, soprattutto in Israele. Dopo il conflitto però in tanti sono tornati. E ora si sono laureati e hanno deciso di rimanere qui. Hanno una famiglia, iniziano ad avere figli. E questo è un ottimo segno: c’è un futuro per la comunità ebraica di Sarajevo. Due anni fa, per esempio, abbiamo avuto dodici nascite. Così ora, come progetto speciale, abbiamo iniziato a costruire un asilo per i bambini”.

d.r. @dreichelmoked