La lingua di Adamo
Com’è noto Dante inserisce alcune volte, nella Commedia, delle parole ebraiche, sulla cui interpretazione c’è stato in dottrina un vasto dibattito, e sulle quali diremo qualcosa in futuro. Non conosceva quella lingua (così come non conosceva il greco), ma si dimostrava evidentemente molto interessato ad essa, sul piano linguistico, storico e religioso.
Nel De vulgari eloquentia egli afferma che la lingua parlata da Adamo ed Eva e dai suoi successori sarebbe stata di creazione divina, e quindi non suscettibile a mutamenti. L’umanità avrebbe parlato tale idioma primordiale fino all’atto di superbia compiuto con l’edificazione della Torre di Babele, narrato nel libro della Genesi, a seguito del quale il Signore avrebbe punito gli uomini attraverso la moltiplicazione delle lingue e la confusione che ne sarebbe derivata. (Secondo un’altra interpretazione, ciascun popolo già prima, pur parlando solo la propria lingua, capiva anche quelle di tutti gli altri, e Dio avrebbe solo oscurato la comprensione delle lingue altrui, cosicché sull’umanità sarebbe calata l’incomunicabilità e la discordia).
La lingua adamitica, così, non sarebbe più stata parlata e compresa, tranne che dal popolo ebraico, che non avrebbe preso parte alla costruzione della torre. Se ne deduce che la lingua di Adamo sarebbe stato l’ebraico, non nel senso che Adamo fosse ebreo (Adamo è il progenitore dell’intero genere umano, e il primo ebreo, com’è noto, è Abramo), ma in quanto la lingua da lui parlata sarebbe in seguito diventata la lingua del solo popolo ebraico. Il racconto della creazione del cielo e della terra e di Gan Eden è scritto in ebraico, nella Torah, non perché appartenga soltanto alla storia di Israele, ma perché quella era la lingua delle origini. E la prima parola del Ta-Na-K, bereshìt, “in principio”, esprime l’idea delle origini del cielo e della terra non solo nel suo significato, ma anche attraverso il suo suono. Il racconto del principio è scritto nella lingua del principio.
Tale visione dantesca è stata oggetto di reiterate confutazioni da parte della critica dantesca di stampo marcatamente cattolico-clericale, a parere della quale l’idea che la lingua adamitica fosse l’ebraico sarebbe irriverente. Scrive, per esempio, Stefano Ignudi, Frate minore conventuale autore di un poderoso commento alla Commedia, tanto erudito quanto fazioso, che “la lingua primitiva dell’umanità… non fu certamente l’ebraica, la quale… non tiene neppure il primo posto fra le lingue semitiche”. Dante, quindi, nel De vulgari eloquentia, avrebbe sbagliato, concedendo un immeritato onore agli ebrei e alla loro lingua.
Il poeta torna sulla questione nel XXVI Canto del Paradiso, ove ha il privilegio di parlare direttamente proprio con Adamo, il quale risponde ad alcune domande che gli rivolge il visitatore. La seconda di queste riguarda proprio la lingua: qual era l’idioma parlato nel Paradiso Terrestre e poi ereditato dalla progenie di Adamo ed Eva? Adamo dà una risposta che appare diversa dall’idea esposta nel De vulgari eloquentia, in quanto afferma che la lingua da lui parlata si era già estinta prima dell’edificazione della Torre da parte di Nembrod, re di Babilonia: La lingua ch’io parlai fu tutta spenta/ innanzi che all’ovra inconsumabile/ fosse la gente di Nembròd attenta (124-126). E questo perché la lingua è data dagli uomini dalla natura (e quindi da Dio, creatore della natura), ma il fatto che poi le lingue mutino e si trasformino dipende dal libero comportamento degli uomini, ai quali è dato il potere di trasformarle, farle morire e crearne di nuove: Opera naturale è ch’uom favella;/ ma così o così, natura lascia/ poi fare a voi secondo che v’abbella (130-132). Le usanze degli uomini sono come le fronde dei rami, che vanno e vengono col mutare delle stagioni: l’uso de’ mortali è come fronda/ in ramo, che sen va e altra vene (137-138).
Anche il nome dato al Signore, perciò, è cambiato. Prima che Adamo scendesse nel limbo (all’infernale ambascia: 133, da cui sarebbe stato tratto in salvo dalla discesa del figlio di Dio, subito dopo la Passione), racconta egli stesso, il nome di Dio consisteva in una sola lettera, una I (I s’appellava in terra il sommo bene: 134), e dopo cambiò in El (e El si chiamò poi: 136).
Cosa vogliono dire queste parole? Ne parleremo nella prossima puntata.
Francesco Lucrezi
(14 settembre 2022)