La mostra inaugurata a Milano
Le luci di Horn, un’eredità preziosa

Mentre la NASA pubblicava le immagini stupefacenti catturate nello spazio dal James Webb’s Space Telescope (JWST), a Milano si preparava l’apertura di una nuova edizione della mostra ideata nel 2017 dal Museo Ebraico di Bologna su Guido Horn d’Arturo, l’inventore di quello “specchio a tasselli” che sta alla base di tutti gli attuali telescopi, compreso il JWST. Triestino ebreo austriaco per nascita, italiano per scelta, Guido Horn d’Arturo si dedicò per tutta la vita all’astronomia e, dopo aver lavorato presso gli Osservatori di Trieste, Torino e Catania, si stabilì definitivamente presso la Specola di Bologna, dove condusse gli studi che lo resero famoso nell’ambiente scientifico, fondò la rivista Coelum e diede nuovo impulso all’incrementazione della biblioteca e della strumentazione tecnica.
I suoi interessi lo portarono presto a concentrarsi su come migliorare la qualità dell’osservazione e della fotografia astronomica. Il problema principale era rappresentato dall’impossibilità di ampliare più di tanto la superficie riflettente dei telescopi – lo specchio -a causa della pesantezza dei materiali in uso a quei tempi.
All’inizio degli anni ’20, quindi, Horn cominciò a concepire l’idea di frammentare gli specchi in un mosaico di parti più piccole e mobili, prima trapezoidali, poi esagonali, in modo da poterne ampliare le dimensioni e poterli adattare al passaggio degli astri lungo la volta celeste. La messa a punto del progetto avvenne nel 1932, novant’anni fa, ma la costruzione del primo prototipo incontrò inizialmente difficoltà tecniche e poi fu ostacolata dall’espulsione di Horn dall’Università per motivi razziali. La guerra sembrò mettere fine ai tentativi disperati dell’astronomo di portare comunque a termine la sua impresa. Scampato alla shoah, grazie anche all’amico e collega Giovanni Battista Lacchini, che lo aiutò a nascondersi in Romagna, nel dopoguerra Guido Horn riuscì a riavere la cattedra e, nel 1952, arrivò con caparbietà e tenacia alla costruzione di un modello soddisfacente di m. 1,80 che fu collocato sulla torre della Specola. Dalla prima intuizione alla realizzazione erano dunque passati più di trent’anni.
Il modello del ‘52 era composto da 61 tasselli posti su di una lastra di marmo che fungeva da sostegno ed era perforata nei punti attraverso i quali passavano tre pioli a vite per ciascun tassello. I pioli, manovrati manualmente, consentivano tramite un congegno apposito di spostare lateralmente e verticalmente i tasselli. Lo specchio cadde poi in disuso e il sostegno di marmo andò distrutto, ma alla fine degli anni ’80 i tasselli originali sono stati recuperati, rimontati nella sede primitiva e resi visibili al pubblico in quello che oggi è divenuto il Museo della Specola.
Gli strumenti attuali si avvalgono di materiali innovativi e di una tecnologia computerizzata che riduce quasi a zero i tempi di adattamento del telescopio, ma l’intuizione geniale e imprescindibile alla base di tutto questo rimane quella di Guido Horn, astrofisico, ingegnere e uomo di cultura di cui, attraverso il ricco carteggio donato dagli eredi alla Biblioteca di Astronomia di Bologna, è fortunatamente possibile conoscere la personalità forte e curiosa.
La mostra sarà esposta presso la sede di INAF-Brera dal 15 settembre al 21 ottobre e metterà a disposizione del visitatore pannelli relativi alla storia personale dell’astronomo e alla genesi della sua invenzione, una serie di nuovi testi aggiornati sui più recenti progetti di ricerca in cui sono impegnati telescopi “figli” della sua invenzione e, infine, una galleria di immagini che offre una panoramica dei più avanzati progetti di ricerca e delle immagini catturate oggi dal JWST messe a confronto con le stesse fotografate da telescopi di precedenti generazioni.
Il telescopio del progetto ASTRI collocato a Serra La Nave sulle pendici dell’Entna è già stato dedicato a Guido Horn d’Arturo nel 2018. L’impegno del MEB e della comunità scientifica astronomica è continuare a ricordare che i traguardi raggiunti si devono principalmente a un’eccellenza italiana, un’eccellenza che tanti anni fa un’ideologia perversa aveva classificato come appartenente a una razza inferiore.

Caterina Quareni

(15 settembre 2022)