Rinnovamento e continuità
Per una interessante coincidenza nella Parashà di Ki Tavò, che leggiamo questo Shabbat alla vigilia della Giornata della Cultura Ebraica dedicata al tema del rinnovamento, troviamo proprio questo tema richiamato due volte nei commenti di Rashì; al versetto 16 del capitolo 26 del Libro di Devarim (Deut.) il testo della Torà dice: ”Oggi il Signore tuo D.O ti comanda di eseguire questi statuti e queste leggi, e tu li osserverai attuandoli con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima”. Rashì si sofferma a commentare la parola “Oggi” – “Ogni giorno (questi comandamenti) siano ai tuoi occhi come nuovi – chadashim – come se tu avessi ricevuto l’ordine quello stesso giorno”. Un analogo commento di Rashì lo ritroviamo poco più avanti nel testo, al capitolo 27, versetto 9: “Poi Mosè e i sacerdoti della tribù di Levi parlarono a tutto Israele in questi termini: Fa silenzio e ascolta, o Israele, oggi tu sei diventato un popolo consacrato al Signore tuo D.O”; anche qui Rashì commenta la parola ‘Oggi’:“Ogni giorno sia per te come se in quello stesso giorno tu avessi stipulato il Patto (con il Signore)”. È chiaro il messaggio che ci trasmettono questi commenti di Rashì, che sottolineano l’importanza di dar vita giorno per giorno a nuovi sentimenti con i quali ci approcciamo ai Comandamenti, non come normative antiche nel tempo ma come leggi di vita, con cui quotidianamente possiamo rinnovare e ravvivare il nostro legame – personale e di appartenenza al popolo d’Israele – con l’Eterno. La necessità di impegnarci in questo quotidiano avvicendamento di sentimenti ed emozioni nell’adempimento delle Mizvot e nel legame con il Signore è apparsa tanto importante a Rashì che ritroviamo la stessa interpretazione in altri ben noti passi della Torà in cui compare la stessa definizione temporale – “Oggi” o “In questo giorno”; la leggiamo infatti nel brano che descrive l’arrivo del popolo al Monte Sinai dove riceverà la Torà: “Nel terzo mese dall’uscita dei figli d’Israele dalla terra d’Egitto, in questo giorno giunsero al deserto del Sinai”, la incontriamo nel primo brano dello Shemà: “Queste parole che Io ti comando oggi siano impresse sul tuo cuore” e ancora all’inizio del secondo brano “E avverrà, se voi ubbidirete ai comandamenti che Io vi ordino oggi…”. In tutti questi passaggi Rashì ribadisce: “Siano per te come se venissero dati oggi stesso”. La ripetizione quotidiana o comunque a scadenze invariate delle medesime azioni si accompagna con il rischio che esse vengano compiute in modo scontato, come gesti abitudinari, freddi, sostanzialmente privi o almeno poveri di sentimento. L’impegno a viverli come esperienze di vita, che si rinnovano giorno per giorno, non è solo legata ad emozioni ma anche alla possibilità di scoprire in essi nuovi contenuti e significati. Così si esprime al riguardo S.R. Hirsch: “La parola di D.O sia sempre nuova ai tuoi occhi, nuova come la luce del giorno che ti accoglie, nuova come il tuo respiro. Ogni giorno rifletti nuovamente su di essa, esaminala nuovamente e studia il suo contenuto in relazione agli obiettivi di ogni nuovo giorno della tua vita. Non c’è peggior nemico che possa ostacolare la piena realizzazione del significato della nostra vita quanto l’adempimento dei comandamenti come azione abituale e ripetitiva, che smarrisce la freschezza del pensiero e del sentimento”. Non si tratta ovviamente di ricominciare nel vero e proprio senso della parola ma di aggiungere ogni giorno una nuova esperienza a quella precedente, come un nuovo gradino su cui salire nella scala che è sempre tesa tra terra e cielo. La capacità di guardare alle parole della Torà e all’adempimento dei comandamenti sempre con “nuovi occhi”, come un’esperienza che acquista ogni giorno qualcosa di diverso, ci permette di comprendere il loro significato in relazione al mutare della nostra vita e ai cambiamenti che segnano il percorso della civiltà dell’uomo. Il sentimento di rinnovamento quotidiano ci viene sollecitato anche dalle prime parole di ringraziamento a D.O che pronunciamo al risveglio, il “Modè anì”, in cui l’inizio del nuovo giorno è sentito come una nuova espressione di vitalità della nostra anima che ci viene restituita dopo il sonno notturno, d’altra parte l’esistenza stessa dell’universo è percepita come un’opera del Signore che si rinnova quotidianamente, come infatti esprimiamo nella prima Berakhà che precede lo Shemà del mattino, a ringraziamento di D.O, che “Rinnova ogni giorno, incessantemente, nella Sua bontà l’opera della creazione”.
Penso che questa capacità di provare ogni giorno nuove emozioni e nuovi pensieri nel nostro modo di rapportarci con la Torà, con la vita ebraica, abbia importanti implicazioni anche in una più ampia prospettiva della nostra esistenza, nel senso di prevenire assuefazione, indifferenza, nel non dare per scontate cose importanti, nel mantenere un rapporto attivo, vivace, personale con il mondo che ci circonda e con le persone che frequentiamo. Ancora da un punto di vista ebraico, ritengo che ci siano due aspetti essenziali della nostra identità ebraica su cui non possiamo concederci superficialità e il distacco di cose scontate, la straordinaria continuità della storia del popolo ebraico, difficilmente spiegabile in termini di pura razionalità, ci deve interrogare incessantemente per quanto riguarda il nostro personale compito affinché essa abbia a proseguire, la rinascita dello Stato d’Israele ha anch’essa significati e contenuti che non devono mai cessare di suscitare in noi profonde emozioni, non deve mancare di interrogarci anch’essa sulla nostra parte per il suo futuro e su quale sia in tutto ciò il senso della diaspora.
Questi sono alcuni aspetti del valore del rinnovamento, in ebraico possiamo usare il termine khiddush. C’è però un aspetto diverso della vita ebraica che non va dimenticato perché altrettanto importante: la continuità, la perseveranza, in ebraico diremmo hatmadà. A questo proposito c’è un midrash molto particolare, che non si trova nei testi più antichi ma è riportato tra l’altro da Maharal di Praga (Jeudah Loew ben Bezalel ,1512–1609), e nell’introduzione alla raccolta di midrashim “’En Ya’akov”, quindi con la massima autorevolezza, in cui alcuni Maestri si confrontano sull’identificazione del versetto che può essere considerato maggiormente rappresentativo di tutta la Torà; secondo Ben Zomà questo passo così onnicomprensivo va riconosciuto nel primo versetto dello Shemà, a quanto pare come espressione fondamentale dell’unicità di D.O, l’opinione di Ben Nanas era invece indirizzata verso il comandamento dell’amore per il prossimo; a questo punto troviamo la sorprendente risposta di Ben Pazi che indica come più significativo il versetto che prescrive l’offerta quotidiana – korban tamid – “un agnello per il sacrificio del mattino ed uno per quello del pomeriggio”(Numeri 28,4). Il Maharal spiega che questo versetto rappresenta il comportamento semplice ma costante, quotidiano, di chi si mette al servizio di D.O e sa che questo richiede una disponibilità continua. Certo il khiddush, il rinnovamento ci fa provare l’emozione della novità, ci fa assaporare l’intensità che scaturisce dal rinnovare sentimenti, pensieri emozioni giorno per giorno, il khiddush è un ideale a cui mirare, però la realtà quotidiana è spesso diversa, è fatta di momenti di stanchezza, di affanno, in cui i pensieri si afferrano alle preoccupazioni personali, è fatta di stanchezza, anche di dubbi, di spazi grigi, ma forse è proprio in questo spazio più ristretto, che spesso sembra comprimerci, quasi metterci nell’angolo, che veniamo messi alla prova, nella capacità di mantenere il nostro legame con Hashem, riuscire a pregare anche quando la Tefillà non ci trasporta nell’empireo, perché essa è comunque il servizio a D.O con il cuore, comunque sia il nostro cuore in quel momento, compiere le nostre mizvot quotidiane, recitare lo Shemà, le Berakhot, fare attenzione a cosa mangiamo e a come parliamo, anche se il nostro pensiero vola verso altre incombenze, perché può essere, in una sorta di metafora, il nostro modo di dire a D.O “ci sono per Te, anche oggi, so che non è il massimo ma sono presente “, così pure dedicare qualche spazio di tempo allo studio di Torà, magari non sarà il massimo della concentrazione, ma può esprimere la consapevolezza che la Torà è il nostro cibo spirituale, così come qualche volta ci accontentiamo di un panino mangiato in fretta ma sappiamo che il nostro corpo ha bisogno di cibo quotidiano. Così la nostra anima necessita di Torà quotidiana, sia pure nella misura modesta che riusciamo a dedicarle. Forse è proprio dalla capacità di mantenere un dialogo costante con D.O, anche nei toni più smorzati e prosaici del quotidiano che, di tanto in tanto può scaturire l’emozione del nuovo, l’animo abituato alla semplice confidenza quotidiana è quello che sa scoprire gli slanci del cuore, magari nei momenti più inattesi. In fondo è così anche nelle relazioni personali, in famiglia i legami forti si costruiscono giorno per giorno, con la costanza e l’esempio di gesti e parole anche semplici, che però dimostrano attenzione e sensibilità anche nel contesto delle difficoltà che la vita ci propone. Forse questo abbinamento di khiddush e hatmadà, di rinnovamento e continuità, è anche una sollecitazione per le nostre Comunità, certo ci vogliono i momenti più intensi, iniziative e progetti che scuotono e richiamano la nostra maggiore attenzione ma è importante essere consapevoli che si deve vivere l’ebraismo nel quotidiano, nel modo semplice ma costante delle mizvot giornaliere che pure, quasi senza che ce ne accorgiamo, rinnovano la nostra vita giorno per giorno.
Rav Giuseppe Momigliano