L’intervento della Presidente UCEI:
“La sfida comune è rinnovarsi,
preservando radici e valori”

Siamo al ventitreesimo anno della Giornata dedicata alla cultura ebraica e rinnoviamo un appuntamento speciale a cui teniamo molto.
Il tema scelto quest’anno, che guida e ispira le manifestazioni in tutta Italia, è quello del “rinnovamento”, parola piena di significati che rappresenta in questo periodo storico, ma anche in questi precisi giorni, una vera e propria sfida. Nei programmi sviluppati da tutte le comunità e da moltissime associazioni ed enti aderenti sarà declinato in tutte le dimensioni dell’esistenza ebraica, riflettendo il nostro modo di porci come singoli, come collettività, come comunità. Ascoltiamo le parole di Naomi Shemer, scritte nel ‘84 per il giorno dell’indipendenza dello stato di Israele, per la cantante Ofra Chaza, che tutt’oggi rappresentano quel concetto di rinnovamento di cui portano il titolo (Hitchadshut in ebraico).
Dopo le feste tutto di rinnoverà,
si rinnoveranno e torneranno i giorni feriali
l’aria, la polvere, la pioggia e il fuoco,
anche tu – ti rinnoverai

Nel tuo giardino fiorisce improvvisamente,
in una confusione totale,
l’albero dei sogni
l’albero del sapere il bene e il male
guarda i tuoi arnesi, lasciati nel cortile,
il martello, la scala, la vanga

(….)

In un viaggio che non finisce
Tra i campi del buio e i campi della luce
C’è un cammino in cui non sei passato, e che attraverserai
La clessidra, l’orologio della tua vita
Ti segnala ora
34, 35, 36…

Siamo appena prima delle feste ebraiche, tra pochi giorni celebreremo il Capodanno ebraico e a seguire il Kippur, sukkot, Simchàt torà… e poi? E poi qual è il rinnovamento tanto atteso? Quel rinnovamento che implica banalità delle giornate comuni non affatto ovvia? Quella forza di vivere la quotidianità dopo l’intensità protettiva delle celebrazioni? Quel ritorno alla vita precedente, oppure quell’innovazione e cura morale di cui siamo chiamati ad essere artefici? Qual è? E forse è l’insieme di tutto questo?
Ben ci dice l’altra Naomi (che ben conoscente dal suo inno per la Gerusalemme), attraverso la magnifica voce di Ofra Chaza, che il rinnovamento è qualcosa che richiede capacità di discernimento tra bene e il male, che necessità il fare – anche materiale, che presuppone indispensabilmente una via mediana tra il buio e la luce percorrendo una strada che è lì che attende, che non va inventata, che tutto è soggetto ad un tempo che trascorre e passa, che il rinnovamento è ancorato alla tradizione – alle nostre feste alte e al periodo di massima introspezione e di responsabilità verso l’altro.
Mai come in questo periodo ci siamo resi conto che l’umanità è una sola, fragile ed effimera, e che ogni essere umano è interconnesso all’altro, vivendo in un mondo in cui il destino delle nazioni, dei territori, delle unioni faticosamente costruite, delle risorse rinnovabili, non dipende solo da una ristretta cerchia di persone, un- solo leader negli spazi in cui conviviamo, o invadiamo, ma dipendendo anche da ciò che dice o fa un qualsiasi soggetto anche da remoto, da individui che diventano masse significative o masse obbedienti, dai processi attraverso i quali la regola di legge diventa regola di vita. Ma ovviamente anche da quanto facciamo noi, ciascuno di noi.
Per essere in grado di innovare nel bene, rinnovare le nostre vite di relazione, anche senza pronunciare quella parola cosi ideale e irraggiungibile “pace”, ma per trovare quella strada che genera convivenza, è necessario che le nostre energie non siano dedicate alla conflittualità. Perché in tempi di così drammatici eventi, dopo oltre due anni di pandemia e una nuova guerra e milioni di vittime e sfollati, il confine tra un faticosissimo governo e gestione della complessità dei sistemi a beneficio di molti, e l’anarchia che al comodo di pochi domina quella complessità divenuta caos, è davvero finissimo. Questo confine è tratteggiato da responsabilità e solidarietà. Responsabilità istituzionale e generazionale. In questi ultimi anni i conflitti e le guerre sono solo aumentati, la polarizzazione economica aumentata, la dialettica oppositiva anziché collaborativa o della critica costruttiva tra gruppi politici divora ogni mezzo di comunicazione e istante, il ricorso a teorie complottiste e antiscientifiche si impongono come determinanti dei processi decisionali rispetto alla autorevolezza scientifica, al cieco viene frapposto l’ostacolo, le risoluzioni internazionali sempre più selettive e inclinate, regimi di confine tra democrazia e sovranismo si sono nettamente rafforzati. Quella linea di confine si è allora ancor più avvicinata. E noi?
Per parte nostra come componente ebraica della società italiana abbiamo sempre dato il nostro contributo – in millenni di stratificazione storica – al rinnovamento inteso come istanze e contenuti culturali, elaborandoli sulla base di una millenaria tradizione, principi di sano governo e gestione della cosa pubblica, rispetto del corpo e della vita, ricerca scientifica in risposta ai malanni e i disagi di ogni essere vivente. Difesa della patria e ricostruzione dopo le macerie. Avvio del progetto costituzionale e poi partecipazione convinta a quello europeo.
La sfida del rinnovamento è parimenti una sfida all’interno delle nostre comunità e dell’ebraismo italiano. Avere ben presente il percorso fondativo del popolo ebraico – percorso che è stato fisicamente di rinnovamento con l’uscita dall’Egitto e l’approdo alla terra di Israele così come di rinnovamento identitario con la dazione dei comandamenti e dell’intero corpo di precetti. Con il consolidamento di concetto di popolo chiamato ad una missione esistenziale. Accettare questo ruolo di popolo che tra le nazioni di allora – e di oggi – ha scelto il D-o unico e la fede. Il bene e il male, la vita e la benedizione, la devastazione e la maledizione come ne abbiamo letto il lungo e poetico (o dantesco per dirla in altro linguaggio) dettaglio appena ieri nella parashà di Ki Tavò, dipende da una nostra scelta e arbitrio. Libero ma che non avviene in un vuoto – avviene in un contesto educativo, culturale, religioso e di leadership che trasmettono valori – primi fra tutti mi sento di rimarcare quelli della vita e della solidarietà, l’accoglienza, la cura delle risorse naturali e un welfare sociale che non dimentica l’orfano, la vedova e lo straniero. Per le nostre comunità una sfida di riavviare il ciclo dell’anno scandito da ricorrenze e celebrazioni, ricordo anche di guerre e stermini affermando la vita che abbiamo saputo fare rinascere nonostante tutto. Rinnovamento che nell’ultimo secolo ha riguardato l’accoglienza di nuove migrazioni ebraiche in Italia (a Roma e a Milano in particolare), cosi come il movimento sionistico all’interno delle nostre comunita’ con le diverse fasi di alyot. La ridefinizione degli statuti e del rapporto con le istituzioni italiane attraverso l’intesa e del ruolo oggi di parte e interlocutore istituzionale. Proseguire quell’impegno che riguarda anche l’identità che si costruisce attraverso la linguistica e la conoscenza dell’ebraico che nei secoli si è rinnovato e continua ad esserlo nella fucina dell’accademia della lingua ebraica e ci dona ogni giorno un nuovo frutto. Il nuovo in tutto questo contesto di scelte presuppone indispensabilmente il saper preservare l’antica radica, l’antica promessa ai nostri patriarchi, l’antico testamento e riferimenti rabbinici (halachici) come riferimento di ogni necessaria costruzione odierna e soluzione che il nuovo contesto ci pone come sfide etiche e sociali.
Siamo anche dinanzi ad un atteso rinnovamento delle istituzioni italiane – parlamento e governo – che vedrà la coincidenza di data con la vigilia del Capodanno ebraico. Proprio per la secolare presenza delle nostre comunità nella realtà italiana sentiamo tutto il peso e la tensione di questa giornata elettorale in arrivo. E aggiungo anche la preoccupazione grave per quanto leggiamo e sentiamo in queste settimane di intesa campagna elettorale. Agli eletti che andranno a governare l’Italia – il Paese in cui abbiamo radici millenarie, di cui cantiamo con orgoglio l’inno e ne rispettiamo la bandiera – chiediamo fermamente la coerenza. Non solo la più attenta e scrupolosa cura delle esigenze strutturali e correnti relativamente alla dimensione economico-finanziaria per il rilancio del Paese, la sostenibilità energetica e il benessere sociale dopo anni di crisi, ma la difesa dei valori fondanti. Tutela degli assetti costituzionali, rafforzamento dello spazio e unità europea come percorso per rafforzare l’Italia stessa, affrontare il tema dell’odio e dell’antisemitismo in particolare in modo unitario. Chiediamo di mantenere il Comitato di coordinamento per la lotta all’antisemitismo, istituito presso la Presidenza del Consiglio, e di accogliere e recepire la definizione dell’IHRA, che comprende tutte le anime buie attraverso le quali l’antisemitismo si è rinnovato.
Non ci si sceglie un pezzo e lo si difende con una bandiera di bravura politica – Israele come Stato che ha il diritto di esistere, difendersi e generare innovazione, libertà religiose, ebraismo come parte integrante della cultura italiana, memoria, responsabilità del fascismo e della persecuzione antiebraica sono un tutt’uno e non sono singole tematiche che si propongono come se il resto fosse superfluo o lo si nega.
Mentre leggiamo i programmi depositati e ascoltiamo gli slogan elettorali ci rendiamo conto che questo non è per nulla scontato e che il rinnovamento politico – se basato su questo approccio isolazionista e riduzionista – rischia di divenire abisso. Se la dimensione valoriale è trascurata nel disinteresse o nella considerazione del bene prettamente individuale dell’una o altra promessa il rinnovamento rischia di essere rinvenimento dell’orrore di cui ancora portiamo indelebile il segno. Il contrario della parola “rinnovamento – Hitchadshu in ebraico” è “Hityashnut” – letteralmente significa prescrizione – in senso ideale anche in questa riflessione odierna quella perdita del diritto, dell’opportunità di agire a difesa del sistema che dipende proprio dall’inerzia e dal mancato atto.
Nel saluto augurale del nuovo anno in ebraico si usa dire “shetitchadesh alynu shanà tova umetukà” – che si rinnovi per noi (letteralmente “su di noi”) un anno nuovo e dolce, un augurio in forma riflessiva come se fosse l’anno il vero protagonista impersonificato di questo divenire e noi in attesa di riceverlo. La speranza del rinnovamento come risultato dell’intero anno, del “dopo le feste” è fatta preghiera e augurio, renderlo possibile con il nostro agire dipende da noi già oggi, già ora.
Dalle Comunità ebraiche italiane, in occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica, appena prima delle feste, lanciamo dunque l’auspicio e la speranza che si possa procedere in questa direzione con tutta la determinazione possibile. Ogni giorno un tratto di strada in più, passando dal campo del buio a quello della luce, utilizzando i nostri arnesi del sapere e saper fare, coltivando quell’albero di sogni e speranze che fiorisce accanto a quello del sapere con il suo biblico monito di intoccabilità e consapevolezza del proprio limite, per trasmettere alle giovani generazioni il giusto e necessario testimone di vita e di valori, accompagnati e sostenuti da una tradizione millenaria.

Noemi Di Segni, Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane