Joshua Cohen e i volti della Storia 

Riflessione identitarie e sul rapporto tra presente e passato, contrasti tra generazioni, incomprensioni tra mondi culturali diversi, il tutto letto in una chiave ironica, a tratti dissacrate, ma che evita accuratamente banalizzazioni e semplificazioni. Sono alcuni degli spunti su cui si è soffermato lo scrittore americano Joshua Cohen, presentando il suo libro Premio Pulitzer I Netanyahu. Dove si narra un episodio minore e in fin dei conti trascurabile della storia di una famiglia illustre (Codice edizioni) alla Festa del Libro ebraico di Ferrara. A lui il Museo dell’Ebraismo Italiano e della Shoah (Meis) ha affidato infatti la conclusione di questa tredicesima edizione della rassegna, anche quest’anno ricca di incontri e appuntamenti di livello e che hanno raccolto l’interesse del pubblico ferrarese. “Questo libro – ha spiegato Cohen, riflettendo sulla genesi dell’opera – era il tentativo da un lato di descrivere e fare un resoconto di un aneddoto che mi ha raccontato il critico letterario Harold Bloom sull’incontro con Benzion Netanyahu (padre di Benjamin) e dall’altro di meditare su due concezioni diverse della storia. Una per cui la storia appunto esiste e l’altra per cui no”.
Sul secondo fronte, spiega Cohen, si trovava il celebre padre del politico israeliano: Benzion, storico e docente all’Università di Filadelfia, guardava al passato con occhi disillusi. “La sua concezione non si fonda tanto sull’idea che la storia non esiste, ma su quella che è il tempo è circolare. E quindi la storia si ripete uguale a se stessa”. Per Netanyahu questa ripetizione ha un’accezione negativa. C’è “un pessimismo, una sfiducia nel momento in cui inizia a documentare la ricorsività di alcune esperienze della comunità ebraica: quelle di sofferenza che si ripetono in quasi ogni paese e generazione. E così si sviluppa un’idea di sofferenza necessaria”.
Nel suo articolato intervento Cohen cita invece un grande maestro della storiografia moderna, Yosef Hayim Yerushalmi. Anche lui presentava, guardando all’esperienza ebraica, l’idea “del tempo come ripetizione. Ragionava in base a unità temporali con riferimento allo stesso tipo di festività o ricorrenze”. E quindi con richiami allo Shabbat, a Pesach, a Rosh HaShannah, al giubileo. E queste ripetizioni – la riflessione di Cohen – non hanno ovviamente un’accezione negativa, ma anzi “servono sostanzialmente a infondere un senso di comunità e a rafforzare un’idea di legame e di fiducia nella tradizione”.
In dialogo con la sua traduttrice Claudia Durastanti – a sua volta scrittrice – e con il direttore del Meis, rav Amedeo Spagnoletto, Cohen ha proseguito la disamina dietro alla scelta dei personaggi e del loro contesto. Un confronto apprezzato dal pubblico che con il Premio Pulitzer ha salutato la Festa del Libro ebraico, con appuntamento al prossimo anno.