“Budapest, una politica
dominata dal vittimismo”

È difficile immaginare che un trattato di pace stipulato oltre un secolo fa possa ancora essere un tema del presente e influire nella politica europea. Eppure, spiega il sociologo János Gadó, uno dei fondamenti della retorica sovranista del Primo ministro ungherese Viktor Orban poggia propria su questa stampella secolare. Una “stampella” tornata d’attualità in questo nuovo round di tensioni culminate con il recente voto UE in cui si definisce Budapest non più una democrazia.
“Con il Trattato di Trianon del 1920 le potenze occidentali privarono l’Ungheria di due terzi del suo territorio. Fu un torto molto concreto, che ha lasciato strascichi nelle coscienze degli ungheresi. Tanto che oggi i nostri nazionalisti – racconta a Pagine Ebraiche Gadó, direttore della rivista ebraica Szombat – guardano il mondo attraverso la lente di quell’ingiustizia. Orban ci basa la sua politica, puntando sul vittimismo e il senso di umiliazione dei figli di Trianon. Li usa per attirare consensi e per sfidare apertamente l’Europa occidentale: noi siamo ancora in credito con voi e io posso non seguire le vostre direttive, è la posizione del nostro Primo ministro”. Discorsi simili, riflette Gadò, arrivano dalla Polonia di Jaroslaw Kaczyński. Qui la rabbia e il vittimismo trovano terreno fertile in altre reali ingiustizie: l’invasione nazista e poi l’instaurazione del regime sovietico. Questo secondo elemento, che fa emergere in Polonia un forte sentimento anti-russo, ha avuto un effetto inaspettato con l’invasione di Putin dell’Ucraina. La Polonia di Kaczyński e l’Ungheria di Orban, da sempre alleate, si sono trovate in contrasto. “I polacchi sono tra i più strenui sostenitori di Kiev, mentre Orban continua a stipulare accordi con i russi. Questo perché non ci sono sentimenti antirussi e anzi il nostro governo si ritrova nella retorica di Mosca contro ogni forma di progresso, contro gli omosessuali, contro l’immigrazione, contro le persone di colore”.
Secondo il direttore di Szombat c’è poi chi tra i nazionalisti d’Ungheria spera che la Russia riesca a sopraffare Kiev per recuperare dei territori (oggi in Ucraina) persi un secolo fa e caratterizzati da una forte presenza magiara. In questa Ungheria a trazione nazionalista in cui il diverso è sempre più osteggiato, la minoranza ebraica cerca di trovare un punto di equilibrio tra critica e convivenza con il potere costituito. C’è chi, spiega il giornalista ungherese, come la federazione ebraica Mazsihisz propende per la prima; e c’è chi come Emih, altra realtà ebraica, propende per la seconda. In ogni caso, sottolinea Gadò, “l’antisemitismo non è uno degli strumenti di Orban; ma il suo continuo incolpare gli altri, senza nessuna riflessione su stessi e sulle proprie responsabilità, è pericoloso anche per gli ebrei”. Questo governo, prosegue, “dà la colpa a Bruxelles, all’Occidente, ai liberali, a George Soros, ai leader politici occidentali; sempre gli altri, mai noi ad aver sbagliato”. E alla fine, ricorda, “quando si dà la colpa al diverso arriva sempre il turno degli ebrei”. Il problema è che in Ungheria al momento non sembra esserci un’alternativa valida: “Orban è saldamente al potere e ci rimarrà ancora a lungo”.
Daniel Reichel