Scolastica

L’eventuale perdita di rispetto verso le istituzioni sarebbe un dato ferale per la democrazia. In questo senso, ho avuto talvolta la sensazione che la legittima aspirazione a riforme che tengano al passo coi tempi, sia stata surrogata, nel profondo inconscio, da una vera e propria caccia al parlamentare, dimenticando colpevolmente che è molto meglio, per ipotesi, un modestissimo parlamentare di un ottimo esecutore degli ordini in uno Stato fascista o comunista. Piuttosto, se si vuole rafforzare la democrazia, non bisogna mai umiliare il Parlamento, ma pur chiedendogli e pretendendo il massimo e sottolineandone gli errori – in democrazia si può e si deve fare – bisogna esaltarne il ruolo ogniqualvolta si pone mano alla carta costituzionale. Si è detto sovente che, nella realtà e mediante la decretazione, le leggi finisce per farle, nei fatti, il governo. Non solo: Sabino Cassese ci ricorda questi giorni che solo un quinto della legislazione è di iniziativa parlamentare. Soggiungo che è addirittura accaduto che i decreti legislativi non corrispondessero alla c.d. legge delega e che tale aporia fosse rimossa dalla mente anche di bravissimi e dotti commentatori (mi riferisco alla legge sulle unioni civili, alle cui previsioni sui conflitti di leggi non ero del tutto estraneo).
Ora, il solo modo di rafforzare le future classi politiche è quello di rafforzare il sistema scolastico, in diversi modi, fra i quali: a) evitando le continue sanatorie dei precari, in spregio dell’ispirazione che viene dalla Costituzione, che pone i concorsi al primo luogo b) migliorando la qualità dei testi scolastici.
Da ultimo, i testi scolastici hanno raggiunto dei prezzi eccessivi, e questa situazione viene talvolta accettata come se fosse una calamità naturale che, in quanto tale, sfugge al potere degli umani. In quel caso, intervengono le Regioni, però è vero che essere generosi coi soldi del contribuente non è sempre la soluzione migliore. Quindi, così non dovrebbe essere, sia perché vi sono editori, in particolare a Roma, che sfornano volumi a prezzi bassissimi e quindi non è imprescindibile spendere tanto, sia perché si può pubblicare all’estero (l’ho fatto con delle relazioni ai Congressi) sia perché si può ripiegare sul digitale, che per fortuna è ormai disponibile (anche se andrebbero controllati i prezzi).
Ultimo punto: cosa inseriamo nei testi? Un’era geologica addietro, vidi che i libri di testo scolastici dei miei figli talvolta confondevano banchina e pensilina così come confondevano Buenos Aires e Rio de Janeiro. Ne trassi il sospetto che non fossero eccelsi.
Infine, nei miei compiti in seno a qualche associazione, ho riscontrato che molti(ssimi) testi scolastici prendevano metaforicamente fuoco quando si arrivava a sfiorare i termini ebrei e/o Israele, arrivando a diffondere gravi distorsioni, con le quali non si diffondevano certo dei valori come l’esattezza, la verità e, volendo, l’amore. Ne consegue che diventa paradossale che si adombri l’ipotesi di diffondere i valori dell’ebraismo proprio a chi non controlla che nei libri di testo si ottenga un risultato conforme ad un valore preminente: essere obiettivi e precisi. Non è impossibile, ad esempio, in Israele la covata di nuovi storici ha fatto spesso arrabbiare tutti con la sua sacrosanta fissazione di distinguere la storia dalla propaganda. Finito il comunismo, da noi ci si imbatte un po’ troppo spesso nel “luogocomunismo”: ma quello non è il compito di chi scrive i libri di testo. Per esempio, un gentile responsabile scolastico mi disse che si era basato su un volume di due prestigiosi giornalisti (niente meno che) di Le Monde. Sennonché, controllando su testi affidabili, constatai che i loro dati erano errati e, poi, controllando sul web, vidi che uno di essi tendeva a incolpare il Quai d’Orsay per l’attentato al Bataclan. Tutto questo sarebbe estremamente divertente se non fosse che su questo tipo di testi hanno studiato quelli che insegnano, quelli che apprendono e talvolta qualcuno di quelli che ci vorrebbero rappresentare. Per dire che quella scolastica non è parva materia ma che semmai, chi la considerasse tale farebbe bene a ricredersi.

Emanuele Calò, giurista

(20 settembre 2022)