Da Israele a Lecce,
l’arte ponte di identità

L’arte come racconto delle molte identità e lingue d’Israele: dall’ebraico all’arabo all’yiddish, dall’essere figli di sopravvissuti alla Shoah al condividere la sfida di emanciparsi come donne dai vincoli delle proprie comunità. Nell’esposizione “A very narrow bridge” del Museo ebraico di Lecce, spiega a Pagine Ebraiche la curatrice Fiammetta Martegani, l’obiettivo è quello di far percorrere ai visitatori i molti ponti ideali che collegano le opere e le storie dei quindici artisti israeliani in mostra. “Lo scopo del Museo ebraico di Lecce, che sorge dove un tempo c’era una sinagoga, è quello di far rivivere le radici ebraiche della città. È di creare ponti tra passato e presente, ma anche di costruirne di nuovi, in particolare con Israele”, sottolinea Martegani. A partire da questa idea, spiega la curatrice, è nata l’esposizione. “Essendo il Museo un’antica sinagoga, ho usato come collegamento la lingua: sono partita dall’idea di chiamare artisti che nelle loro opere usino il testo biblico per poi ampliarla anche a lingue e identità differenti”. Un esempio di questo intreccio, aggiunge Martegani, giornalista e curatrice del Museo Eretz Israel di Tel Aviv, è l’opera dell’artista giapponese Kazuo Ishii, dal 1997 in Israele: il suo lavoro è una trascrizione del Kohelet in giapponese. “Ishii riflette sul testo biblico, ma attraverso la sua prospettiva di buddista, trovando punti in comune tra Kohelet e il Sutra del Cuore con riferimento al distaccamento, alla rinuncia dell’io, del proprio ego. E se vogliamo questa può essere un punto di lettura per tutta la mostra: interrogarsi sulla propria spiritualità, sulla propria identità, partendo da un terreno comune, Israele”.
Il titolo della mostra – patrocinata, tra gli altri, da ambasciata d’Israele e UCEI-, come ricorda il catalogo, fa riferimento a una poesia di rav Nachman di Breslov, Kol Ha’Olam Kulo’ (Tutto il mondo intero): “Il mondo intero è un ponte molto stretto e l’importante è non avere paura”. “Secondo il celebre Rabbino chassidico, sapendo che ogni persona, nel corso della propria vita, deve attraversare, inevitabilmente, diverse difficolta, è essenziale non avere paura”, spiega la curatrice. E così diversi artisti in mostra sono accomunati dall’aver attraversato nel corso della propria vita questi ponti stretti, dall’aver superato molte difficoltà, scegliendo di raccontarle attraverso le opere. Tra questi, Haim Maor, docente del Dipartimento di Arti dell’Università Ben-Gurion del Negev, che al Museo ebraico di Lecce porta “Autoritratto con i miei genitori VS Khader, Machmud e Bisan”: un trittico in cui l’artista rappresenta la sagoma dei genitori e la propria all’interno di camei con lo sfondo di un giornale israeliano degli anni ’50 in yiddish, la prima lingua di casa Maor. A questo triplice ritratto si affianca quello dell’amico Khader Oshah, pittore beduino palestinese – costretto a lasciare Gaza e da tempo residente a Rahat, in Israele – e dei suoi due figli. “Un intreccio di storie di persone strappate ai propri luoghi d’origine, – afferma Martegani – con identità complesse che trovano tutte posto in unico stato”. Da qui anche il sottotitolo della mostra: “Quindici artisti raccontano i mille e un volto di Israele”. Paese con cui peraltro da Lecce e dalla Puglia si continuano a costruire nuovi ponti, rileva la curatrice del Museo Eretz Israel. “Ci sono molte iniziative in corso: a ottobre uno degli artisti, Michael Ben Abu, terrà una lezione e una kabalat shabbat laica. E ci sarà poi occasione di portare in Israele una delegazione del Museo ebraico di Lecce per presentare le sue iniziative”.