L’UCEI e le borse di studio
per gli studenti afghani
“Aiutare, un dovere ebraico”

Nell’estate del 2021, per settimane, non si è parlato d’altro. Poi d’un tratto il vuoto. L’Afghanistan è scomparso dalle prime pagine, ha smesso di fare notizia. Eppure la crisi umanitaria non ha smesso di mordere un istante. Amplificandosi, anzi, ancora di più. Calata l’attenzione e intensificatasi la stretta talebana, la sfida resta quella di rimanere solidali. Come se fossimo ancora in quel drammatico agosto in cui, nell’arco di poche ore, sono crollate le conquiste civili di un ventennio. È la strada adottata dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane attraverso l’erogazione di due borse di studio ad altrettanti studenti afghani che, fuggiti dal loro Paese d’origine, avranno la possibilità di ricostruirsi un futuro in Italia. Un progetto realizzato in sinergia con la Comunità di Sant’Egidio (sono arrivati entrambi grazie ai corridoi umanitari) e con la ong ebraica internazionale HIAS che lo sostiene finanziariamente.
A. è uno di loro. Ex funzionario ministeriale, è fuggito insieme alla moglie. Con loro anche la sorella e il figlioletto di otto anni. “Purtroppo – racconta – è rimasta vedova: suo marito, inviso ai talebani, è stato torturato e ucciso in modo brutale”. A. e i suoi cari sarebbero dovuti emigrare già lo scorso anno. Erano in una delle liste attraverso le quali, nei giorni dell’evacuazione di massa, migliaia di afghani sono riusciti a partire. Ma, mentre erano in attesa di imbarcarsi, un attentato ha seminato il panico. Nel tumulto che è seguito i loro diritti non sono stati riconosciuti e non hanno avuto altra scelta che tornare indietro. Mesi di angoscia fin quando si è aperto uno spiraglio per l’emigrazione in Iran. Da lì, in estate, sono giunti in Italia. “Sento una profonda gratitudine per chi ci sta aiutando”, sottolinea A. Nella mente ancora il trauma di quell’agosto: “Vent’anni di progressi collassati in un istante. Tutto lo sforzo compiuto per la democrazia, la pace e i diritti è stato vanificato”. A., che è di etnia hazara, ha ottenuto l’asilo politico. E tra poche ore inizierà a frequentare un corso universitario in un ateneo del Nord. “È un’opportunità straordinaria. Darò il massimo affinché sia fruttuosa. Tornare a studiare è una cosa meravigliosa. Come lo è – aggiunge – percepire il sostegno e l’amicizia di chi ci ha teso una mano”. Forte resta comunque la preoccupazione: “Una parte della famiglia è rimasta in Afghanistan, tra gli altri un fratello più piccolo. Gli aggiornamenti che ricevo sono terrificanti: i talebani odiano gli hazari, li perseguitano fin dentro le loro abitazioni. Non sono al sicuro neanche lì. Spero un giorno di poterli riavere al mio fianco, qui, in Italia. Per assaporare il dono della libertà insieme”.
“Quello dell’Afghanistan è un dramma sul quale non deve calare il silenzio” esorta Milo Hasbani, vicepresidente UCEI. Nella scelta di investire nell’educazione “la precisa volontà di lasciare un segno, un impegno rivolto al futuro”. Non la prima iniziativa che ha visto l’Unione attivarsi per lenire le ferite di chi, lasciandosi Kabul alle spalle, è stato costretto a ripartire da zero. In parallelo prosegue lo sforzo intrapreso in solidarietà all’Ucraina: “Continua l’impegno per dare soccorso ed è sempre aperto il canale con chi, nel frattempo, ha fatto la scelta di tornare. Storie emblematiche di vita che continua, nonostante tutti gli ostacoli e le avversità. A noi il dovere di esserci. Un lavoro senza soluzione di continuità, insieme ad organizzazioni amiche con cui condividiamo l’urgenza di una mobilitazione costante. È il caso, ad esempio, di questo progetto”.
“Siamo grati all’UCEI che partecipa a questo impegno tenace per non far prevalere indifferenza. Sono passati appena pochi mesi ma purtroppo in tanti si sono dimenticati dell’Afghanistan”, osserva Stefano Pasta della Comunità di Sant’Egidio. Un progetto, prosegue, che si inserisce “nell’ambito dei corridoi umanitari, iniziativa dall’iniziale caratterizzazione interconfessionale diventata poi interreligiosa”. Il modello dei corridoi umanitari, evidenzia ancora Pasta, “prevede l’accoglienza in famiglia: parenti, comunità, singoli che mettono a disposizione degli alloggi; un modello più inserito nel tessuto cittadino rispetto ad altri”. Elemento che fa la differenza, in positivo, “per un ragazzo che studia all’università”. La speranza è che “anche la moglie possa andarci a breve”. Ilan Cohn è il direttore di HIAS per l’Europa: “Dall’istituzione di un ufficio a Bruxelles abbiamo iniziato a lavorare con molti organismi ebraici. Tra cui, naturalmente, l’UCEI. Siamo e vogliamo essere sempre di più un punto di riferimento nel campo delle attività umanitarie”. HIAS ha una lunga e gloriosa storia. L’idea da sempre è che l’unione faccia la forza, che insieme si possano ottenere risultati più significativi che agendo singolarmente. Soprattutto “in periodi di crisi come questo”, con HIAS all’opera in molteplici contesti. A partire dall’Ucraina. Ma senza dimenticare altri fronti “di cui meno si parla”, dall’Africa profonda al Sud America. “HIAS ha iniziato ad aiutare perché chi aveva bisogno di aiuto erano gli ebrei. Adesso – evidenziava l’organizzazione in un recente messaggio – continua ad aiutare perché è ciò che noi ebrei facciamo: aiutiamo.”

Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked

(Nell’immagine: una delle famiglie afghane aiutate in questi mesi con il supporto dell’UCEI)

(30 settembre 2022)