“Putin è pazzo”

“Ci fanno uccidere i civili. Putin è pazzo, perderemo”. Sono alcune delle conversazioni dei soldati russi che dal 24 febbraio scorso partecipano all’aggressione dell’Ucraina decisa dal loro presidente Vladimir Putin. Affermazioni che stanno facendo il giro del mondo e che sono il frutto, come racconta il Corriere, di un lavoro di due mesi del New York Times sulle intercettazioni raccolte dai servizi segreti dell’Sbu ucraino. Conversazioni da cui emerge la disperazione dei giovani mandati a combattere da Mosca, dove oggi verrà celebrata l’annessione dei territori ucraini Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson dopo i referendum farsa degli scorsi giorni. Per Domenico Quirico de La Stampa, un passaggio che porta a un peggioramento significativo del conflitto. Con le annessioni, spiega Quirico, Putin ha lanciato un messaggio all’Occidente: “d’ora in avanti se attaccate il Donbass o la fascia costiera di cui abbiamo il controllo è come se attaccaste Mosca o San Pietroburgo e abbiamo il diritto per difenderci di usare anche l’arma atomica. E il tiranno ha aggiunto: attenzione, non sto bluffando”.
In questo clima, riportano i quotidiani, l’ambasciata italiana in Russia ha esortato i connazionali che non hanno necessità a lasciare il paese.

In fuga dalla Russia. La mobilitazione parziale voluta da Putin è “una bugia. Recluteranno tutti, come carne da cannone per una guerra che fin dall’inizio non interessava quasi a nessuna persona sotto sessant’anni di età”. È la testimonianza di Irina, una donna russa, che il Corriere intercetta in Turchia dove è fuggita assieme al marito dopo l’annuncio di Mosca di voler arruolare almeno 300mila uomini per proseguire l’invasione dell’Ucraina. Come Irina, molti altri sono al momento in Turchia, in attesa di poter ripartire per altri luoghi. Lei e il compagno hanno “un contatto In Israele, domani mattina sapremo se possiamo partire”.

Proteste iraniane. Non ha una leadership e sta mettendo seriamente in crisi il regime di Teheran. È la protesta innescata dall’uccisione della giovane Mahsa Amini che si è diffusa in tutto il paese. “Mahsa è diventata il simbolo dell’oppressione. Il fulcro delle manifestazioni è stata la protesta contro l’hijab obbligatorio: questa generazione che non si riconosce nel sistema e non ha leader dice che se il velo è un obbligo religioso, chi non è religioso non dovrebbe essere costretto a fingere di esserlo. Ma non si limitano a questo: le richieste sono una vita normale, prosperità economica, libertà civili, rispetto e pari diritti, tutto quello di cui gli iraniani non hanno goduto in questi anni”, dice a Repubblica una nota giornalista di Teheran. Al Fatto Quotidiano l’iraniana Shirin Ebadi, Nobel per la Pace, ricorda come – in un paese in cui una larga maggioranza ha meno di 30 anni – a protestare siano soprattutto i giovani: “sanno che con questo regime non hanno futuro”. Ebadi ai paesi europei chiede solidarietà e gesti concreti: ad esempio, “di ritirare i loro ambasciatori dall’Iran e di ridurre le relazioni diplomatiche e consolari”.

L’Europa e la crisi energetica. Il tema principale in prima pagina rimane la questione caro energia, con proteste anche da parte italiana per la scelta della Germania di varare aiuti da 200 miliardi per tenere basso il prezzo del gas a livello interno. “Non possiamo dividerci a seconda dello spazio nei nostri bilanci nazionali, serve solidarietà”, ha commentato il Presidente del Consiglio Draghi.

Governo. Sui quotidiani italiani si continuano a fare ipotesi sulla squadra che Giorgia Meloni sceglierà per guidare il paese. Ma nulla è ancora definito. Diversi articoli parlano di braccio di ferro sull’Interno, dove vorrebbe tornare Salvini, ma su cui Meloni valuta altri nomi. Libero segnala come alla leader di Fratelli d’Italia siano arrivate diverse congratulazioni, tra cui “il presidente di Vox Santiago Abascal, il parlamentare del partito israeliano Likud, Gila Gamliel e il leader del partito repubblicano cileno, José Antonio Kast”.

Olimpiadi. Intanto la futura Presidente del Consiglio ha incontrato il numero uno del Comitato olimpico internazionale Thomas Bach, per parlare in particolare delle prossime Olimpiadi invernali a Milano-Cortina 2026. Bach, intervistato dal Corriere, spiega che in tema di partecipazione dei russi alle Olimpiadi “il nostro obiettivo è far tornare a gareggiare gli atleti con passaporto russo che non supportano la guerra. Ma non è facile”. E aggiunge: “Sempre più spesso lo sport diventa motivo di ritorsione politica. Gli iraniani potrebbero non volere far gareggiare gli americani, i palestinesi rifiutare gli israeliani e così via. E un mondo pieno di conflitti, sotto tutti i punti di vista e anche nello sport. C’è sempre qualcuno che lotta contro qualcun altro, che non vuole che qualcuno partecipi o chiede che venga sanzionato. Così lo sport è spaccato e noi siamo lacerati”. Per Bach “il movimento olimpico ha come missione quella di contribuire alla pace, rimanendo politicamente neutrale: certo, in questo momento dobbiamo capire come poterlo fare”.

9 ottobre 1982. Nella sua rubrica sul Corriere 7, Roberto Saviano presenta ogni settimana una foto che racconta una storia più ampia. Questo venerdì l’immagine ritrae il feretro del piccolo Stefano Gaj Taché, due anni, assassinato nell’attacco terroristico palestinese del ’82 alla Sinagoga di Roma. Saviano, ricordando il libro testimonianza del fratello Gadiel, sottolinea come su questa storia per troppo tempo sia caduto il silenzio e come ancora si attenda giustizia. A ricostruire quei giorni, attraverso diverse voci, anche il documentario “Era un giorno di festa” presentato a Roma e segnalato da Repubblica.

Genova. “Il Comune insieme a scuole e università deve farsi promotore di un processo di storicizzazione della memoria”, scrive sulle pagine locali di Repubblica il consigliere comunale di Genova Federico Barbieri.

Daniel Reichel