Vito Volterra e il coraggio di dire no

“Sapevo che mio nonno era un grande matematico, del suo ruolo di antifascista, del rifiuto di prestare il giuramento di fedeltà al regime, ma ho scoperto molte cose su di lui solo dopo anni. Ad esempio negli anni Ottanta, quando entrai nel Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), il mio direttore di allora mi fece vedere un opuscolo che diceva: Vito Volterra fondatore del Cnr. A quei tempi noi eravamo convinti che il Cnr l’avesse fondato Marconi: cioè la damnatio memoriae che ha colpito mio nonno e tanti altri è durata decenni”. Un oblio che, ha raccontato la nipote Virginia Volterra, ha coinvolto suo malgrado anche la famiglia del celebre matematico e politico antifascista, scomparso nel 1940. Con il tempo la sua figura è stata riscoperta, il suo contributo scientifico, sociale e politico ricordato, come testimonia il recente convegno a lui dedicato dall’Accademia dei Lincei, di cui fu presidente. E come dimostra anche il volume presentato in Senato L’arduo cammino della coscienza. L’opposizione al regime nel Senato del Regno e il giuramento del 1931, firmato dal Pierpaolo Ianni. “Un volume che mi ha dato modo di scoprire molte cose su mio nonno e non solo. Sapevo ad esempio che lui fosse tra i dodici accademici che non firmarono il giuramento al fascismo, ma non sapevo che quel numero in realtà, come ci racconta Ianni, era superiore”. Lo storico infatti aggiunge a quell’elenco anche Gaetano Salvemini, che aveva lasciato l’insegnamento, e Leone Ginzburg, che prese la libera docenza.
Nel saggio – con prefazione della senatrice a vita Liliana Segre – si approfondisce la scelta coraggiosa dei pochi che, come Volterra, non si piegarono alla minacce e pressioni di Mussolini e dagli scranni del Senato del Regno e dell’accademia rifiutarono di dare la propria adesione al fascismo. “Dal libro – ha raccontato ancora Virginia Volterra, tra le intervenute al convegno organizzato dalla Commissione Biblioteca e Archivio Storico del Senato – ho scoperto ad esempio che, dopo il delitto Matteotti, anche al Senato fu chiesto di dare la fiducia a Mussolini. E solo in ventuno non la diedero: tra cui mio nonno”. Mentre fece rumore il fatto che allora, tra chi non si rifiutò, ci fosse una figura come Benedetto Croce. “Nelle pagine di Ianni si ricorda, è anche questo è importante, la testimonianza di Giorgio Levi Della Vida, che va a trovare Croce per avere lumi e ne esce molto sconfortato. Levi Della Vida ne scrive in Fantasmi ritrovati, che Ianni cita e che dovremmo tutti leggere e rileggere”. Molteplici dunque gli intrecci del passato che si legano alle vicende di Volterra, tra coloro che saranno colpiti dalle leggi razziste del 1938, che rappresenta un pezzo importante della storia italiana. Una storia che oggi dimentica, si è sottolineato nel convegno al Senato, il peso del giuramento al fascismo del 1931. Come ha evidenziato la storica Antonella Amico – curatrice di una biografia di Gaetano De Sanctis, altro grande nome della cultura italiana che si oppose al regime – il passaggio sul rifiuto di giurare fedeltà al fascismo dovrebbe essere maggiormente studiato. “Fu un atto eroico, troppo poco celebrato. E ogni studente dovrebbe conoscere la ferita inferta alla scuola, all’accademia e all’Italia da quel giuramento”.
Riportare l’attenzione su quegli anni permette sia di comprendere il coraggio di chi si oppose, ma anche l’adesione, l’opportunismo, il silenzio di un pezzo d’Italia, quello accademico, che aveva gli strumenti intellettuali per contestare il fascismo, ma non lo fece. Lo ricorda, sempre attraverso il prisma delle vicende di Volterra, Giovanni Paoloni, autore del saggio breve intitolato “Il rifiuto di Vito Volterra: matematica e politica. Dalla damnatio memoriae alla memoria ritrovata”. In uno dei passaggi del suo scritto (qui il testo integrale), Paoloni ricorda ad esempio come per il suo antifascismo Volterra sarà di fatto costretto a lasciare la presidenza dell’Accademia dei Lincei e sempre più messo ai margini della società. “Dal febbraio 1926 diviene completamente invisibile all’opinione pubblica italiana, presso la quale aveva avuto fino ad allora una certa attenzione, ma con la quale non aveva più canali di comunicazione. Soprattutto, però, comincia a divenire invisibile e a essere considerato irrilevante da una parte crescente del mondo accademico italiano. Il fascismo non può danneggiare la sua reputazione scientifica, ma può fare in modo che la sua attività venga ignorata. – scrive Paoloni – E lo fa con successo. Ad esempio, cancellando il suo ruolo di fondatore del Consiglio nazionale delle ricerche, che nella narrazione (tanto pubblica quanto interna al Consiglio) diventa una creatura di Guglielmo Marconi, cioè del presidente che viene nominato dal governo per succedere a Volterra nel 1927”. Il suo ruolo, come ha ricordato la nipote, verrà poi riscoperto gradualmente nel dopoguerra. Un lavoro, come testimonia il libro di Ianni, ancora in corso.