“Farò e capirò”, il racconto di una vita

“Esiste un dovere che accomuna tutti gli esseri umani ed è quello della memoria. Il ricordo è una esigenza naturale dell’uomo, insita dentro di lui, che lo aiuta a sopravvivere, ma soprattutto a salvaguardare la propria esistenza. Oggi più che mai fare memoria di chi siamo e della nostra storia diventa non solo un diritto ma anche un dovere civile”. È la premessa con cui si apre Farò e Capirò (ed. Efesto), libro-intervista a cura della giornalista Francesca Baldini nelle cui pagine si racconta l’esperienza di vita di una delle figure più rappresentative dell’ebraismo italiano e romano: Franca Eckert Coen.
Già delegata del sindaco Veltroni per le Politiche della Multietnicità ed Intercultura e artefice della trasformazione dell’Orfanotrofio Israelitico Pitigliani in Centro comunitario, scelta che ha reso il Pitigliani una realtà di riferimento in campo culturale e sociale, è ancora oggi protagonista in molti ambiti. A partire dall’impegno per rafforzare il Dialogo interreligioso nel segno di una più solida consapevolezza reciproca cui si sta dedicando attraverso l’associazione Religions for Peace (di cui è vicepresidente). Proprio in questo contesto è maturata la conoscenza con Baldini, studiosa di Dottrina Sociale della Chiesa e tematiche di genere e religioni, che in Religions for Peace ha coordinato prima i giovani e poi il gruppo di Donne di Fede in Dialogo. “Amica e morà”, la chiama usando il termine ebraico che designa la figura dell’insegnante e di colei che, attraverso l’esempio, trasmette valori e principi. Un riconoscimento al suo aver fatto breccia nella vita di tante persone grazie a un “animo schietto e fedele”.
Farò e Capirò inizia dall’infanzia modenese e dai traumi della persecuzione razzista che prese il via un anno dopo la sua nascita. Ferite indelebili che l’hanno spronata a reagire per fare Memoria, ma assicurare anche continuità nelle generazioni. “L’ebraismo è ‘figlio della Torah’ e non della Shoah. Se per i sopravvissuti è naturale il ricordo e il pianto, il modo migliore di non dimenticare i propri morti è quello di operare una rinascita del nostro popolo”, esorta in uno dei passaggi più significativi del suo colloquio con Baldini.
Rinascita e cognizione del proprio ruolo anche oltre i confini dell’appartenenza religiosa. “Era importante aprirsi alla città per far conoscere la Comunità ebraica ai non ebrei, partendo prima di tutto dal quartiere, poiché il Pitigliani era nel cuore di Trastevere. La conoscenza dell’altro è il primo punto di partenza per una integrazione”, ricorda soffermandosi su quella stagione di svolta per il Centro e per l’ebraismo romano in generale. Un modello applicato in varie circostanze. Come l’incarico al servizio della collettività romana svolto dal 2001 al 2008 su invito dell’allora sindaco Veltroni. “Il mio ruolo – racconta – era quello di lavorare per migliorare l’integrazione dei nuovi cittadini, ma ho iniziato il mio mandato con lo scopo preciso di dimostrare che già i romani autoctoni erano una società variegata, compresa la minoranza a cui appartengo”. Dieci, secondo Eckert Coen, le caratteristiche peculiari dell’ebraismo. Nell’ordine in cui sono riportate: conoscenza, integrazione, azione, Tikkun Olam, Legge orale, mancanza di gerarchie ecclesiastiche, necessità di una congregazione, ospitalità, il fatto di non voltarsi, il riconoscimento dei “Giusti” di ogni nazione.
In anni recenti Eckert Coen ha partecipato alla fondazione della comunità progressive Beth Hillel e della Federazione Italiana Ebraismo Progressivo. Scelte approfondite nell’ultimo capitolo del libro, in cui sostiene la necessità di un riconoscimento ufficiale da parte delle istituzioni.