Yom Kippur, un tesoro da proteggere
Nel giorno di Kippur aleggia nel Beth hakeneset un’atmosfera particolare, quasi magica, che non ha eguali in tutti i giorni dell’anno. La Kedushà, santità, è presente in tutti i giorni di festa, ma a Kippur si respira quella che potremmo definire “Ghilà Bir’adà”, cioè una gioia accompagnata da timore. Rudolph Otto (1869 – 1937) ha descritto questa particolarità nel suo saggio “Il sacro” e cita una delle preghiere che si aggiungono nella ‘Amidà di Rosh hashanà e Kippur:
“Perciò imprimi, o Signore D. nostro, la tua riverenza su tutte le tue opere, e il timore di te su tutto il creato. Concedi dunque, o Signore, gloria al tuo popolo, lode a coloro che ti temono…allegria alla tua terra, gioia alla tua città…allora i giusti vedranno e gioiranno, le persone rette giubileranno, i pii gioiranno…” Aspetti fondamentali del sacro, che non possono essere ridotti a espressioni puramente razionali sono ciò che Otto definisce come “numinoso” e che si esplicano in esperienze che possiamo definire a seconda dei casi come Tremendum, Mysteriosum o Fascinans. Il momento terrificante e inquietante del divino e la percezione della sua sovrana potenza (maestà) genera nell’uomo un sentimento di inferiorità.
La partecipazione alle preghiere pubbliche di Yom Kippur rimane incisa nella mente e nello spirito, capace di produrre un cambiamento drastico nella vita di chi vi partecipa. Può essere interessante raccontare l’esperienza di tre persone che, seppure in modo diverso, ne sono state toccate: Aimè Palliere, Franz Rosenzweig e Shmuel Agnòn.
Il cattolico Aimè Palliere (1868 – 1949), che non crede più ai principali dogmi cattolici, entra in una sinagoga di Lione proprio il giorno di Kippur, convinto che l’ebraismo sia ormai una religione superata dal cristianesimo: solo lì si rende conto della profondità e dell’intensità della religiosità ebraica, tutt’altro che superata. Approfondisce quell’esperienza e chiede di convertirsi all’ebraismo, cosa della quale Elia Benamozegh cercherà di dissuaderlo a fare, tentando di spingerlo verso il Noachismo. Un altro caso importante che ha lasciato tracce nella storia della filosofia è quello del filosofo Franz Rosenzweig (1886 – 1929) , autore della “Stella della Redenzione” e assieme a Martin Buber traduttore in tedesco di una versione magistrale della Bibbia e molto altro ancora. Già avviato sulla strada della conversione al cristianesimo, come molti suoi parenti, decide di passare la giornata di Kippur nella sinagoga di Kassel, forse influenzato da esperienze che aveva avuto durante il servizio militare, dove aveva già partecipato a preghiere di Yom Kippur. Fortemente influenzato da quell’esperienza, decide di impegnarsi nello studio e nella diffusione dell’ebraismo: non vi era nessun motivo di convertirsi al cristianesimo, che aveva derivato alcuni concetti fondamentali dall’ebraismo. Diverso è il caso del Premio Nobel per la Letteratura Shmuel Agnon (1888 – 1970), vissuto fin da bambino in un’atmosfera di devozione e osservanza delle mitzvot, immerso in una comunità già profondamente ebraica. La preghiera pubblica, in quanto basata su “formulari” di preghiera uguale per tutti, finisce per rendere difficile la concentrazione e la spontaneità. Tuttavia, quando le parole sono identiche, l’atmosfera e le melodie possono modificare il livello di partecipazione delle singole persone. Leggiamo il brano introduttivo scritto da Shmuel Agnon nel suo libro “Yamim Noraim”, in cui descrive le caratteristiche dei dieci giorni che vanno da Capodanno a Yom Kippur, intercalate da racconti e osservazioni, analisi ecc.
“Il cielo era sereno e la terra era silente, le strade erano linde e uno spirito nuovo aleggiava nello spazio del mondo. Io, un bambino di quattro anni, vestito con l’abito della festa, fui condotto da uno dei miei parenti alla casa di preghiera da mio padre e mio nonno. La Casa di preghiera era piena di persone ammantate con scialli di preghiera, corone d’argento cingevano il loro capo. Erano tutti vestiti di bianco con i libri in mano. Molte candele infisse in candelabri di creta emanavano una luce meravigliosa assieme a un buon odore.
Un vecchio stava piegato in preghiera di fronte alla teca e il suo Tallet scendeva fin sotto al suo cuore e una voce gradevole e dolce usciva dal suo scialle. E io me ne stavo alla finestra della casa di preghiera, tremante e attonito per le voci gradevoli e per le corone d’argento, per la luce meravigliosa e per l’odore di miele che usciva dalle candele, candele di cera. Mi sembrava che la terra che avevo calpestato, le strade che avevo percorso e tutto il mondo fossero soltanto un vestibolo per questa casa. Non sapevo ancora meditare sui concetti filosofici e non conoscevo il concetto di maestà del sacro. Ma non c’è dubbio che in quel momento avvertii nel mio cuore la santità del luogo, la santità del giorno e la santità degli uomini che pregavano e cantavano nella casa del Signore.
Nonostante che fino a quel momento non avessi mai visto nulla del genere, non mi passava per la mente che tutto ciò potesse aver fine. Me ne stavo così a guardate gli uomini che erano nella casa del Signore, senza distinguere tra un uomo e l’altro perché formavano un tutt’uno con la casa, mi sembravano un unico blocco. Una grande gioia albergava nel mio cuore e il mio cuore si era legato con amore a questa casa a questi uomini e a questi canti. Pian piano i canti cessarono e una eco continuò a risuonare ancora per un po’ finché anche essa non cessò del tutto. All’improvviso la mia anima si accartocciò e scoppiai in un pianto dirotto. Mio padre e mio nonno si spaventarono e tutta la gente mi si mise intorno per consolarmi. Ma io continuavo a piangere e le lacrime continuavano a solcarmi il viso. Gli uni chiedevano agli altri: chi ha causato il pianto del bambino? Gli altri rispondevano: Chissà!
Adesso vi racconto che cosa mi aveva fatto piangere. Nel momento in cui si interruppe la preghiera , all’improvviso si interruppe anche quella bella unità. Alcuni tirarono via i propri scialli dal capo e altri cominciarono a discorrere. Quelle persone che all’improvviso avevano cambiato espressione avevano distrutto la bella immagine, l’immagine della casa e l’immagine del giorno. Per questo il mio cuore languiva e per questo singhiozzavo per il pianto”.
Conservare nella memoria per tutto un anno gli attimi meravigliosi in cui sentiamo quelle melodie che ritornano puntualmente, ascoltare la benedizione sacerdotale sotto il manto del Tallet, ascoltare il suono dello Shofar che pone fine alla giornata di preghiere, in un silenzio che, per quanto è intenso, può essere tagliato, rende questa esperienza unica e speciale espressione di quel “numinoso” e misterioso di cui parla Otto. Kippur, un tesoro da proteggere.
Rav Scialom Bahbout
(3 ottobre 2022)