Dove portare l’Italia

Certamente Mussolini non ritornerà su questa terra. Di certo la storia non si ripeterà uguale a sé stessa. Certamente non ci sarà mai più una nuova deportazione di ebrei e una nuova Shoah – e noi non possiamo che sperarlo! E può anche essere vero che la destra di oggi non sia più la destra di ieri, e che la Meloni di oggi non sia più la Meloni dell’altro ieri e di ieri. Le nuove responsabilità forse possono contribuire al cambiamento.
Magari ha ragione chi dice che bisogna aspettare e vedere come si muove la nuova destra, quello che farà e come lo farà. Insomma, siamo invitati a essere cauti e a sospendere per ora il giudizio in trepida attesa: chi vivrà vedrà. Sempre sperando fortemente che il domani non ci riservi qualche brutta sorpresa, e che la nostra attesa non si riveli fatale attendismo.
Sia chiaro: in molti si vorrebbe tanto che la destra, erede ideologica del fascismo, figlia del Movimento Sociale Italiano fondato dai reduci della Repubblica Sociale Italiana, si convertisse convinta al sistema democratico, abbandonasse le nostalgie del ‘Mussolini ha fatto anche cose buone’, e si ricordasse in primis delle malvagità e della dittatura e della guerra in cui il fascismo e il suo Duce trascinarono il paese. In molti si vorrebbe che la destra di oggi sposasse l’ideale liberale e umanitario dei sistemi democratici moderni.
Ma per poter credere alla riconversione non bastano le parole, le promesse, le vaghe dichiarazioni di intenti, e non bastano i troppi diplomatici silenzi, né il doppio binario dei rappresentanti politici irreprensibili e, per le strade, i seguaci nostalgici impenitenti. Si attendono allora fatti e azioni tangibili. Ci si aspettano prese di posizione chiare contro i pregiudizi ai danni delle minoranze – tutte le minoranze –, ci si aspetta che si metta la sordina al fervore sciovinistico e che si metta al bando l’odio antisemita sparso a piene mani negli stadi, nei social, dalle frange estremiste che hanno visto in Fratelli d’Italia il loro partito di elezione. Si vorrebbe assistere all’espulsione dal partito di chi soffia sulle braci del pregiudizio rispolverando accuse di lobbismo ebraico, di finanza ebraica, di poteri forti ebraici. Si vorrebbero vedere rispettati i diritti civili acquisiti. Si vorrebbe veder riconosciuto che il 25 aprile non è una festa divisiva, bensì il giorno della liberazione da una dittatura criminale, e si vorrebbe sentire una censura definitiva contro chi ne diserta la commemorazione per andarsene a Predappio a cantare Faccetta nera con il braccio teso nel saluto romano. È Predappio con tutti i suoi nostalgici cascami a essere divisivo per il riconoscimento dell’unità nazionale sotto la bandiera della libertà riconquistata con il sangue.
Si vorrebbe finalmente riconosciuto il fatto che il partigiano non è, malgrado Giampaolo Pansa, equiparabile al repubblichino. Tutti e due giovani, tutti e due magari sorretti da ideali, ma l’uno dalla parte democratica della storia e l’altro dalla parte della prevaricazione dittatoriale.
Ci si chiede allora se ci sia motivo di temere per l’autonomia della magistratura dal potere politico, o se si debba temere che forze dell’ordine – in nome di un nuovo ordine – possano agitare manganelli contro liberi cittadini che esercitano il loro diritto di pensare e dimostrare. Il Governo Tambroni e la Diaz gettano ancora la loro ombra sinistra sulle libertà del cittadino.
Giorgia Meloni deve decidere dove portare l’Italia, e deve decidere come educare molti suoi sostenitori alla democrazia, al rispetto, allo spirito libertario, alla solidarietà e all’idea dell’Europa come destino comune.
Per noi ebrei, comunque, potrà essere imbarazzante incontrare istituzionalmente chi rimpiange un regime che ha mandato a morte i nostri familiari.

Dario Calimani