Perdono e promessa
Nell’ultimo video della morà Ruth Mussi su zeraim dedicato al giorno di Kippur, la riflessione verte sullo strano accostamento tra promesse e annullamento delle stesse: che valore hanno le nostre promesse se queste vengono espresse nel momento in cui annulliamo quelle precedenti? Che valore hanno le nostre parole?” La morà Ruth risponde con l’aiuto di rav Sacks e rav Steinsaltz. A questo proposito mi viene in mente quello che Hannah Arendt scrive a conclusione di Vita Activa. In questo saggio, nelle parti finali del capitolo dedicato all’azione, Arendt introduce due elementi che fino a quel momento non ci aspetteremmo come elementi integranti dell’agire politico: promessa e perdono. Questi non sono tratti tipici dell’azione politica, così come ce la presentano greci e romani, ovvero i due modelli della teoria politica arendtiana. Perdono e promessa sono piuttosto un portato della cultura ebraica. Che valore e facoltà hanno secondo Arendt queste due azioni?
Secondo Arendt perdono e promessa sono il rimedio contro l’irreversibilità e l’imprevedibilità del processo avviato dall’azione che scaturisce dalla potenzialità dell’azione stessa: il primo ha la facoltà di porre un’interruzione sul passato, la seconda è la possibilità di superare le incertezze del futuro. Il perdono libera dalle conseguenze di ciò che abbiamo fatto e senza promessa saremmo condannati a vagare senza aiuto e direzione, senza identità. Inoltre queste facoltà dipendono per Arendt dalla pluralità, dalla presenza e agire degli altri, condizione essenziale di ogni agire politico, dato che nessuno può perdonare o sentirsi legato a una promessa fatta solo a se stesso. Le parole non sono semplici astrazioni, ma azioni che cambiano le nostre direzioni di vita.
Ilana Bahbout